Come traghettare il Green Deal europeo nel nuovo ciclo della politica comunitaria

Analyse

Con le elezioni europee dietro l’angolo e il successivo insediamento di una nuova Commissione, sta per cominciare un’altra fase della transizione verso la neutralità climatica. Questo articolo affronta alcuni punti chiave e le sfide che ci attendono nel prossimo futuro per assicurare un’efficace implementazione del Green Deal europeo (GDE).

La resilienza del Green Deal

Quattro anni dopo la comunicazione da parte della Commissione europea degli obiettivi di neutralità climatica che l’Unione si poneva per il 2050, il Green Deal europeo vede davanti a sé un futuro incerto, con uno scetticismo crescente verso il suo impatto in termini di distribuzione e competitività. Tuttavia, l’urgenza di attuare l’Accordo di Parigi del 2015 e contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5ºC entro la fine del secolo viene costantemente ribadita dalla comunità scientifica e nei dibattiti internazionali, come la COP28, tenutasi lo scorso dicembre a Dubai.

Secondo i risultati del 2023 del Barometro sull’applicazione del Green Deal, un sondaggio annuale condotto fra oltre 600 esperti di sostenibilità, la maggior parte degli intervistati (il 56%) ha espresso una certa sicurezza sul fatto che le istituzioni della Ue trasformeranno il GDE in leggi che sono necessarie per adempiere agli impegni internazionali sul clima. Si tratta però di una sicurezza timida, visto che solo una minoranza si dichiara “molto fiduciosa”. L’implementazione del Green Deal è stata spesso ostacolata negli scorsi anni, soprattutto a causa di un impegno politico insufficiente a inserire gli obiettivi climatici all’interno di altre politiche, come il semestre europeo. Dal suo varo, comunque, il Green Deal è sopravvissuto a diverse sfide, dalla pandemia da Covid-19 alla guerra in Ucraina alla crisi energetica.

Le elezioni europee del 2024 porranno un’altra sfida alla prosecuzione dell’agenda del GDE, con una nuova Commissione europea da formare, nuovi membri del Parlamento da eleggere e future elezioni nazionali che potrebbero influire sulla composizione del Consiglio europeo (comprese le prossime presidenze di Ungheria e Polonia). Da questo punto di vista, gli esperti intervistati dal Barometro si sono dichiarati abbastanza ottimisti sul futuro del Green Deal: il 61% ha affermato che l’agenda dimostrerà una resilienza almeno moderata dopo le prossime elezioni europee. È un dato incoraggiante, che non solo conferma questa caratteristica del GDE, ma anche la necessità per i decisori politici della Ue di continuare in questa direzione. Dopo le prossime elezioni europee, che si terranno fra il 6 e il 9 giugno 2024, mancheranno solo sei anni al 2030, la prima scadenza intermedia lungo la strada che ci porterà al 2050.

Le priorità della prossima fase del GDE

Essendo un’agenda politica complessiva pensata per trasformare la nostra società e la nostra economia in risposta alla crisi climatica che stiamo attraversando, il Green Deal europeo è per forza di cose una strategia a lungo termine (fino al 2050 e oltre). È dunque necessario intraprendere azioni immediate e avere una visione lungimirante. È innegabile che in soli quattro anni dal suo avvio sono stati fatti progressi considerevoli, soprattutto nel settore energetico, ma altri ambiti del Green Deal richiedono riforme politiche più ambiziose o nuovi quadri legislativi, che a loro volta faciliteranno il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica.

Lacune politiche e processi da migliorare

Si richiedono riforme più profonde in certi settori finora trascurati, soprattutto quelli che riguardano l’agroalimentare e la biodiversità. Per esempio, è un peccato che la Commissione europea, nonostante l’annunciato impegno, non abbia stilato durante il proprio mandato un quadro normativo sul sistema agroalimentare sostenibile, la revisione della regolamentazione sui prodotti chimici, il pacchetto sul welfare animale e la cosiddetta agenda blu. Questi impegni dovranno essere tradotti in azioni concrete ed efficaci dalla nuova Commissione.

Le attuali misure per ridurre le emissioni di gas serra del settore agricolo stanno avendo un impatto minimo, nonostante il Regolamento sulla condivisione degli sforzi abbia rivisto gli obiettivi nazionali. Per favorire il contributo del settore agricolo alla mitigazione climatica, è importante avere un sistema agroalimentare sostenibile e resiliente, che ne riduca l’impronta climatica, sia dentro che fuori l’Unione europea; introdurre misure che puntino a migliorare la biodiversità, la salute del suolo e l’agricoltura del carbonio; e promuovere nuove politiche per assicurare consumi sostenibili, anche attraverso una serie di innovazioni. Per sostenere la transizione agroalimentare serve una nuova visione della Politica agricola comune (PAC) e del consumo di suolo, che richiede di apportare cambiamenti profondi alla PAC e al budget dell’Unione.

È inoltre essenziale che la prossima fase del Green Deal punti a una migliore integrazione politica, che compenserebbe la divergenza di obiettivi e risposte fra diverse aree politiche. In questo modo assicureremmo un approccio più efficace e coerente all’elaborazione e all’implementazione delle politiche. È fondamentale, per esempio, integrare le politiche sul clima e la biodiversità in una strategia globale, per salvaguardare il capitale naturale della Ue e rimetterlo sulla via del risanamento. Le soluzioni fondate sulla natura, comprese le proposte attuali o nuove sul ripristino della natura, avranno un ruolo cruciale per il raggiungimento degli obiettivi climatici del 2040 e resteranno vitali per la competitività e la sostenibilità del settore economico.

E ancora, le politiche estere dovrebbero essere integrate meglio nell’agenda del GDE, cosa che a sua volta faciliterebbe il raggiungimento dei suoi obiettivi e l’incremento del sostegno ai paesi terzi. Alcune misure commerciali autonome approvate finora, come il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e la Regolamentazione sulle catene di approvvigionamento a deforestazione zero sono sicuramente dei buoni esempi. Il primo contribuisce a evitare il cosiddetto “carbon leakage”, cioè la rilocalizzazione delle emissioni di CO2, mentre la seconda vieta l’importazione di prodotti che contribuiscono alla deforestazione, incoraggiando così l’agricoltura sostenibile e salvaguardando l’ambiente. Sotto questo aspetto, tuttavia, è importante sottolineare che l’attenzione non va posta solo sul rispetto delle regole, ma anche sul raggiungimento dei risultati sul campo. Quanto al Regolamento europeo sulla deforestazione (EUDR), è fondamentale valutare e monitorare l’efficacia degli strumenti economici e di conservazione previsti dal Green Deal per aiutare i produttori nella transizione verso una produzione sostenibile. Il traguardo della deforestazione zero si può raggiungere solo se l’applicazione delle norme va di pari passo con lo sviluppo rurale. Pertanto, un approccio più coerente e inclusivo, capace di integrare la dimensione interna e quella esterna del Green Deal, è di primaria importanza perché l’Ue resti un attore credibile sul piano internazionale. L’introduzione e l’attuazione dei capitoli su Commercio e sviluppo sostenibile (TSD) negli Accordi di libero scambio (FTA) nell’ultimo decennio ha segnato un passo decisivo verso un commercio europeo più equo e sostenibile. La loro operatività ed efficacia, tuttavia, sono state ampiamente messe in discussione, e si potrebbe fare di più per sostenere la tutela del clima, dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici in tutto il mondo.

Migliorare la governance del GDE

Al tempo stesso va migliorata la governance del GDE. Dai disegni di legge alla loro implementazione, il processo deve diventare più inclusivo e coinvolgere tutti gli attori sociali: il mondo della ricerca per un’accurata conoscenza scientifica e il settore privato come principale promotore di pratiche e investimenti green, così come le autorità locali, che capiscono meglio i bisogni dei territori. Il Green Deal europeo è stato il primo vero tentativo di stabilire un’agenda politica trasformativa valida per tutti i settori economici per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia è rimasto incentrato sulla crescita e legato al disaccoppiamento dell’uso di risorse e dell’impronta ecologica dal PIL, che ora deve fare i conti con il poco tempo rimasto per raggiungere i limiti planetari in un contesto europeo. Inoltre, nonostante la crescente consapevolezza di concetti come “transizione giusta” o “economia del benessere”, al GDE è mancata una narrazione politica coinvolgente e un quadro normativo vincolante necessario ad assicurare un’ampia accettabilità politica e sociale di grandi riforme socio-economiche a guida Ue per mettere il benessere dell’umanità e del pianeta al centro delle decisioni comunitarie.

Al momento, il processo di implementazione è ancora molto politicizzato, il che tende a creare in genere una narrazione negativa di ciò che comporta la transizione verde. Tuttavia, il cambiamento climatico è un problema globale e queste nuove politiche riguardano tutti i settori: è quindi importante che l’approccio top-down sia opportunamente smussato coinvolgendo le autorità locali e sviluppando la digitalizzazione. Va fatto uno sforzo ulteriore per riconoscere e spiegare l’impatto e i benefici delle politiche per la transizione verde, soprattutto in ambiti come le politiche climatiche ed energetiche (come il pacchetto Pronti per il 55%), l’agricoltura e il consumo di suolo e il ripristino della natura. Da ultimo, è essenziale che la nuova legislatura europea sostenga l’obiettivo di ridurre il consumo delle risorse da parte dell’Ue per rimanere entro i limiti planetari soprattutto rendendo vincolanti gli obiettivi di riduzione dell’impronta materiale dell’Ue.

La nuova Commissione europea si impegnerà a raggiungere gli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico?

Secondo vari sondaggi, a luglio del 2024 il Consiglio europeo sarà composto da una maggioranza di destra, tenuto conto delle recenti elezioni nazionali e di quelle in programma nei prossimi mesi. Questo dovrebbe ripercuotersi direttamente sulla composizione della nuova Commissione europea, dato che i commissari sono nominati dai capi di stato e di governo della Ue a 27. Come previsto dai trattati, il Parlamento europeo ha voce in capitolo sulla nomina dei commissari e può chiedere il ritiro della candidatura di qualunque commissario designato, in caso di esito negativo delle audizioni.

Tuttavia, le proiezioni sulla composizione del nuovo emiciclo indicano anche un aumento dei seggi dei gruppi conservatori di destra, tipicamente più scettici verso le politiche climatiche. Potrebbero quindi crearsi maggioranze alternative rispetto alle alleanze tradizionali dei gruppi principali, incidendo così sulla posizione del Parlamento europeo su alcuni ambiti, tra cui il Green Deal.

Le discussioni sull’ambiente stanno diventando sempre più ricorrenti nel dibattito politico che ci accompagnerà fino alle elezioni europee e, in generale, nella politica nazionale dei vari stati. Vari fattori stanno contribuendo: chi governa non può ignorare la crescente intensità e frequenza degli eventi atmosferici estremi che stanno colpendo il nostro continente (e non solo), e la pressione esercitata da vari soggetti economici, dalla società civile e dai cittadini rimane alta. Secondo l’Eurobarometro di luglio 2023, oltre tre quarti (il 77%) degli intervistati ritiene il cambiamento climatico un problema molto grave in questo momento, mentre il 75% pensa che le azioni contro il cambiamento climatico porteranno innovazioni che renderanno più competitive le aziende europee.

Ci si aspetta che il GDE resti al centro dell’indirizzo politico della futura Commissione europea, come quadro di riferimento generale per l’Unione post-2024. Resta da vedere se diventerà anche una strategia per la crescita e la competitività e un paradigma anche per tutte le altre politiche. Nonostante importanti cambiamenti politici e nuove alleanze, si può lavorare su ambiti e approcci diversi che imprimano una nuova direzione alle future proposte di politiche green. A tal fine, i decisori politici europei dovrebbero preoccuparsi in via prioritaria di:

  • Contribuire allo sviluppo del sistema agroalimentare europeo e a quello delle materie prime rinnovabili, cosicché creino una base sostenibile e resiliente della nostra economia materiale.
  • Rafforzare e allineare gli obiettivi ambientali e climatici attraverso politiche e meccanismi di attuazione coerenti, dove la scelta non è fra clima o biodiversità, ma clima e biodiversità.
  • Assicurare che l’impronta ecologica estera delle decisioni sociali e politiche europee diventi un agente di promozione della sostenibilità globale.

 

Le opinioni espresse in questo articolo non rispecchiano necessariamente quelle dell’Heinrich-Böll-Stiftung.


Questo articolo è stato tradotto dall'inglese da Laura Bortoluzzi | Voxeurop

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata qui: eu.boell.org