Le associazioni e le organizzazioni della società civile europee non possono contare su un proprio status giuridico nei trattati dell'UE. Eppure ci sono buone ragioni per colmare questa lacuna e creare uno statuto europeo delle associazioni.
1. Rafforzare la democrazia europea!
L'Unione europea si autodefinisce una "unione tra i popoli dell’Europa (...) in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini " (art. 1 TUE). Adotta principi democratici, prevede e promuove esplicitamente la partecipazione dei cittadini, delle cittadine e delle associazioni (art. 11 TUE). Il dialogo con la società civile a livello europeo è quindi un elemento costitutivo dell'UE. Il fatto che allo stesso tempo non si possano fondare organizzazioni europee della società civile, perché non esiste una vera e propria forma giuridica per esse, è uno squilibrio considerevole e porta a difficoltà, mancanza di trasparenza e ingiustizie nell'attuazione concreta dell'art. 11. Ciò ha gravi implicazioni per la democrazia ed è incomprensibile alla luce di quanto poco ci vorrebbe per rimediare a questo deficit democratico.
Al di là della partecipazione politica delle reti di organizzazioni della società civile all’elaborazione delle politiche dell’Unione Europea, il quadro d’azione politico della società civile è cambiato in modo allarmante negli ultimi anni. Shrinking Space (letteralmente “spazio che si restringe) indica il crescente restringimento dello spazio d’azione della società civile (Civic Space). Da un lato, il termine si riferisce alla restrizione dei diritti fondamentali come la libertà di riunione, di associazione e di espressione da parte del governo o della magistratura di un Paese. Dall'altro, indica il clima generale, in un Paese o una regione, per quanto riguarda l'impegno civico della società civile. Pertanto, non si riferisce esclusivamente a repressioni dirette dello Stato, come il discredito e diffamazioni, minacce, intimidazioni e la violenza contro le ONG, i loro attivisti e le loro cause.
La rete CIVICUS presenta ogni anno un'analisi della condizione in tutto il mondo del Civic Space. 109 Paesi sono interessati da una contrazione dello spazio civico e solo il 3% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui questo spazio può essere definito aperto. Tuttavia, questo monitor chiarisce anche che il fenomeno dello Shrinking Space non è limitato alle autocrazie di altri continenti o ai pochi casi isolati in Europa di cui si parla nei media. Le tendenze negative a livello mondiale individuate dal monitor sono ugualmente presenti in tutta l'UE.
La creazione di una forma giuridica europea per l'impegno della società civile sarebbe per le numerose organizzazioni interessate negli Stati membri dell'UE un importante segnale politico, che rafforzerebbe i valori e i diritti fondamentali rendendoli accessibili in tutta Europa. Questo offrirebbe un'efficace protezione giuridica alle associazioni della società civile transeuropea.
2. Rafforzare la società civile europea!
La società civile e il suo impegno civico sono pilastri portanti della coesione sociale e di una democrazia viva nelle nostre società. I cittadini e le cittadine si impegnano insieme per difendere i loro interessi, si organizzano in reti, creano iniziative, costituiscono associazioni e formulano rivendicazioni ai politici. In tutti i Paesi europei, l'importanza sociale e politica della società civile è riconosciuta e regolata da una normativa sulle associazioni. Ciò fornisce alla società civile un quadro di riferimento per l'azione e l'organizzazione. La nozione di interesse pubblico è anch’essa sancita nella giuridicamente in numerosi Paesi della UE.
Tuttavia, la cittadinanza non è più un costrutto dello stato-nazione. Con il Trattato di Maastricht, nel 1992 è stata introdotta la cittadinanza europea: i cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea diventano automaticamente cittadini dell'Unione. Il loro impegno civico non si ferma più ai confini: sostengono e promuovono lo sviluppo dello spazio pubblico europeo, ad esempio facendo volontariato in organizzazioni paneuropee o transnazionali, in associazioni di gemellaggio bi- o multilaterali tra città, nelle reti regionali EUREGIO finanziate dall'UE o in altre organizzazioni transfrontaliere. Programmi di finanziamento dell'UE come "Europa per i cittadini" o ERASMUS+ sostengono esplicitamente questo impegno.
Anche la partecipazione politica della società civile sta diventando sempre più europea. Molti temi importanti della società civile, come il cambiamento climatico, le questioni migratorie o ancora la mobilità, vanno oltre le capacità dei singoli Stati nazionali, incapaci di risolverli. Il diritto d'iniziativa dei cittadini europei (art. 11/4 TUE) ha aperto ulteriori possibilità di partecipazione di ampia portata. Allo stesso tempo, i margini d’azione per l’impegno della società civile sono sempre più sotto pressione, la democrazia e lo Stato di diritto sono minacciati dall'interno e dall'esterno dal rafforzamento delle Destre in Europa e, non da ultimo, anche dalle conseguenze della pandemia di coronavirus. Gli strumenti più efficaci per affrontare queste sfide risiedono nella cooperazione transfrontaliera. Negli ultimi decenni il panorama delle reti europee della società civile si è conseguentemente evoluto e ampliato con numerosi nuovi attori che organizzano i loro scambi e le loro attività con il digitale.
Ciononostante, le normative nazionali pongono ancora dei limiti all'auto-organizzazione dei cittadini europei: la società civile europea è giuridicamente frammentata sul modello dei confini nazionali. Questa frammentazione impedisce l’affermazione di una voce dei cittadini dell’Unione. La mancanza di un quadro giuridico europeo unitario impedisce la condivisione di un sentimento di comunità, compromette la volontà d’azione che un tale quadro incoraggerebbe e non permette neppure di considerarsi quotidianamente non solo come cittadini del proprio Stato, ma anche come cittadini dell’Unione, come degli europei. È quindi necessaria una base giuridica per le associazioni europee, al fine di sostenere una coscienza europea e rafforzare la visibilità della società civile europea. Senza associazioni europee, l'"Europa dei cittadini" non può essere una realtà.
3. Porre fine alla limitazione delle libertà europee e alla discriminazione delle attività non profit!
Finché le organizzazioni della società civile possono operare solo in base al diritto nazionale, l'impegno della società civile rimarrà frammentato e si fermerà alle frontiere. Pertanto, nella sfera economica l'UE ha già compiuto così tanti progressi: é dal 1989 che le associazioni di lobbisti possono costituirsi sotto la forma giuridica del Gruppo Europeo di Interesse Economico (GEIE), dal 2004 della società per azioni europea (Societas Europaea - SE), dal 2006 della Società cooperativa europea (Societas Cooperativa Europaea - SCE) e dal 2007 del Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT). La semplice "associazione europea" per attività della società civile oltre i confini nazionali, invece, non esiste ancora. Questa immagine corrisponde a un'interpretazione dell'UE come mercato unico europeo che è palesemente in ritardo rispetto allo stato dell'integrazione europea e alla sua interpretazione giuridica.
Da un lato, la libertà di associazione è esplicitamente garantita "a tutti i livelli" nell'articolo 12, capoverso 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ossia anche a livello europeo. Tuttavia, questo diritto è in gran parte vuoto se, come afferma l'avvocato Tim Wöffen, "non è possibile fondare un'associazione europea in modo semplice e senza complicazioni burocratiche". È vero che la libertà di associazione non garantisce di per sé il diritto a una forma giuridica specifica. Tuttavia, la situazione attuale è paradossale, nel senso che l'impegno civico non può appoggiarsi a nessuna forma giuridica paneuropea. [1]
Strettamente legata alla necessità di unirsi in un'associazione europea, c’è la questione per la società civile europea del riconoscimento della pubblica utilità del suo impegno civico transfrontaliero, che finora è mancato. Come la legge sulle associazioni, anche quella sulle organizzazioni non profit rimane ancorata ai schemi nazionali tradizionali. Questo ritardo ostacola la partecipazione transfrontaliera del settore non profit in un mercato comune europeo. Anche se la maggior parte delle leggi sul non profit e sulle donazioni degli Stati dell'UE non esclude le attività transnazionali della società civile, le organizzazioni straniere sono spesso escluse dai benefici fiscali. Data la mancanza di accordi, le associazioni attive nei diversi Paesi dell’UE devono passare da una procedura di riconoscimento dell’interesse pubblico supplementare. Nel concreto, spesso le donazioni a organizzazioni straniere non sono deducibili, perché gli uffici fiscali non possono o non vogliono controllare lo status di non profit dei beneficiari stranieri.
Sebbene la legge sulle organizzazioni non profit e sulle donazioni non rientri nella sfera di competenza dell'Unione Europea, gli Stati nazionali sono tenuti a osservare, nella propria legislazione, le libertà fondamentali del mercato comune europeo. Finora hanno adempiuto a questo obbligo solo in modo esitante e inadeguato. Inoltre non è avvenuto volontariamente, ma solo dopo le richieste della Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE) a seguito di diverse controversie legali. [2]
Nel complesso, la giurisprudenza della CGUE ha dovuto sottolineare che anche le organizzazioni non profit e le persone che vi partecipano possono invocare la tutela delle loro libertà fondamentali: nel contesto delle loro attività economiche queste sono la libertà di domicilio, la libertà di circolazione dei servizi, dei capitali, dei lavoratori e, idealmente, la libertà di movimento. Tuttavia, le decisioni dei tribunali hanno portato finora solo a un'armonizzazione selettiva delle leggi sul non profit negli Stati membri, caso per caso. Mostrano solo la punta dell'iceberg e dimostrano quanto tale regolamentazione sia una necessità urgente e diffusa. [3]
Il fatto che la Corte di giustizia dell’Unione europea debba così affinare in modo subliminale la comprensione dell'azione della società civile in Europa e imporre condizioni quadro di impegno europeo nei confronti del legislatore è qualcosa di intollerabile. È in netto contrasto con l'importanza della società civile per la democrazia e la coesione sociale in Europa. È contrario alla Carta dei diritti fondamentali dell'UE e con la libertà di associazione in essa contenuta. E complica l'attuazione e l'ulteriore interpretazione dell'art. 11 TUE, che definisce le caratteristiche fondamentali della democrazia partecipativa in Europa e il ruolo della società civile. Il decisore politico dovrebbe essere più interessato a sviluppare in modo proattivo una forma di entità comune per l'impegno civico europeo e intraprendere un percorso verso l'armonizzazione del non profit in Europa, piuttosto che inseguire le delle direttive prevedibili dettate dalla Corte di Giustizia dell’UE.
È quindi auspicabile che con la nuova iniziativa del Parlamento europeo, che con la sua "Relazione per uno Statuto delle associazioni e organizzazioni senza scopo di lucro transfrontaliere europee" del febbraio 2022 ha chiesto alla Commissione europea di redigere un nuovo progetto di legge, emerga una nuova dinamica che alla fine porti a una forma giuridica paneuropea.
[1] Tim Wöffen : "Überlegungen zur Einführung der Rechtsform des 'europäischen Vereins'", in : BBE-Newsletter für Engagement und Partizipation in Europa, 2/2017.
[2] A tale proposito vedere anche : Affare Stauffer (2006) : https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/ALL/?uri=CELEX%3A62004CJ0386 ; Jundt (2007) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/TXT/?uri=CELEX:62006CJ0281 e Persche (2009) https://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/ALL/?uri=CELEX:62007CJ0318
[3] La rete Transnational Giving Europe, tra le altre cose, dimostra che c'é una necessità significativa di regolamentazioni transnaizonali: https://www.transnationalgiving.eu/.
Questo articolo è originariamente apparso in tedesco sul sito boell.de