Se il pensiero politico e il metodo scientifico andassero di pari passo, la decarbonizzazione dovrebbe essere intesa come una questione trasversale a tutte le forze politiche, una strategia di sviluppo economico. Eppure, in vista delle elezioni europee, sembra che si delinei – sia a livello UE che nei diversi stati membri – una divisione politica su questi temi.
Non c’è mai stato un consenso così vasto della comunità scientifica su un tema, quanto lo è oggi rispetto alla responsabilità antropica per il cambiamento climatico, e alla necessità di ridurre le emissioni per garantire sviluppo. Infatti, il 99%[1] degli scienziati mondiali concorda sul fatto che il cambiamento climatico è causato dalle attività umane. Di conseguenza, se il pensiero politico e il metodo scientifico andassero di pari passo, la decarbonizzazione dovrebbe essere intesa come una questione trasversale a tutte le forze politiche, una strategia di sviluppo economico. Eppure, in vista delle elezioni europee, sembra che si delinei – sia a livello UE che nei diversi stati membri – una divisione politica su questi temi.
Nel corso degli ultimi mesi si è evidenziato quanto parlare di clima significhi dibattere sulla politica industriale, sull’agricoltura, sul debito e la distribuzione delle ricchezze. La proposta della più grande strategia europea sul clima degli ultimi decenni, l’European Green Deal, ideato dalla Commissione Von der Leyen nel 2019, mostra che l’azione climatica non si compone di sole politiche settoriali, ma di una visione socioeconomica complessiva, che implica una nuova idea di futuro. Dall’European Green Deal, sono state sviluppate circa venti proposte nel pacchetto Fit for 55, alzando l’ambizione europea, con un vastissimo supporto all’interno del Parlamento europeo. In particolare, gli oltre 400 voti a favore in quasi tutte le votazioni sui singoli provvedimenti evidenziano un appoggio trasversale delle forze politiche, ad eccezione della destra più radicale (dei gruppi politici europei ECR e ID).
Il Green Deal è anche una strategia di competitività industriale: di fronte ai massicci investimenti cinesi e americani in innovazione tecnologica, l’Europa sta rispondendo con la sua visione di competitività sostenibile. Il Green Deal ha anticipato i tempi e permesso di avere un quadro normativo molto più avanzato di cinque anni fa: siamo più pronti che in passato a reagire alla concorrenza mondiale. Le politiche UE sul clima stanno anche facendo capire meglio il ruolo di Bruxelles nell’influenzare la politica degli Stati membri e quanto siano importanti i negoziati europei. Per esempio, la protesta dei trattori si è rivolta sia contro i governi nazionali che verso Bruxelles, avendo così un duplice interlocutore politico, e riconoscendo all’UE un peso importante nella definizione di politiche nazionali. Seguendo poi nel dettaglio le legislazioni clima del pacchetto Fit for 55 si è potuto notare che, nei vari paesi UE, il dibattito nazionale[2] si è concentrato sulle legislazioni che più toccano l’immaginario nazionale: in Germania sull’efficienza energetica, in Italia sul settore delle auto e il divieto UE di vendita di motori a combustione interna a partire dal 2035. La politica europea ha sempre influenzato quella nazionale e viceversa, ma sul clima il collegamento è diventato evidente.
Un percorso pieno di ostacoli reali e di dubbi finti
L’elaborazione delle politiche pubbliche e la discussione su quale sia il mix migliore di tecnologie e politiche settoriali che ci permetta di raggiungere l’obiettivo, è un sano processo democratico, ma a volte rischia di essere utilizzato in maniera strumentale per rallentare i processi legislativi e i cambiamenti economici. Rispetto al clima, se in passato parte della società e, di conseguenza, alcuni politici potevano essere apertamente negazionisti, ora alla luce dell’accordo pressoché totale tra i climatologi, il negazionismo ha lasciato il passo a tentativi di rallentare la transizione. La retorica sul dubbio rispetto a come affrontare il cambiamento climatico cela spesso dei conflitti di interessi ed è molto pericolosa, perché polarizza il dibattito pubblico, rischiando di portare all’inazione e ad una conseguente perdita di competitività delle economie europee.
In tutta Europa, negli ultimi mesi, abbiamo visto come la polarizzazione del dibattito sul clima sia al centro della “bagarre politica” e della discussione tra forze progressiste e conservatrici. Uno degli esempi più eclatanti riguarda la legge sul Ripristino della Natura (Nature Restoration Law) che avrebbe dovuto portare ad un aumento considerevole delle aree protette e porre rimedio al fatto che l’80% degli ecosistemi in UE, da cui dipende il buon funzionamento della nostra economia e società, è in cattivo stato di conservazione. Dopo un difficile percorso nell’Europarlamento, che si è concluso con l’approvazione del regolamento per 12 voti nell’estate 2023, l’iter legislativo è continuato con difficoltà e si è al momento arenato in un limbo pre-elettorale.
Altri regolamenti hanno evidenziato quello che si sta delineando come un grande fattore di incertezza per chi opera sui mercati, ossia che quanto negoziato in Europa venga bloccato e ridiscusso. È il caso dello stop alla vendita delle auto con motore endotermico a partire dal 2035, o della direttiva CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che chiedeva alle aziende attenzione agli standard ambientali lungo tutta la catena produttiva e l’istituzione di piani di decarbonizzazione obbligatori per le grandi aziende. Nonostante l’approvazione, non è stato un percorso lineare e, tuttora c’è una sensazione di incertezza, che nuoce prima di tutto alle imprese e di conseguenza ai lavoratori. In genere, a Bruxelles, dopo le intense negoziazioni tra Commissione, Parlamento e Consiglio (trilogo), l’approvazione finale è un semplice passaggio formale. Oggi, invece, soprattutto sulle legislazioni che riguardano la transizione energetica, si allungano ulteriormente i tempi e si forniscono sempre meno certezze a cittadini, imprese e investitori, con una conseguente fase di stallo che non fa bene in primis all'economia.
Se in Europa ci si scontra sui temi climatici, anche in Italia è aumentata la polarizzazione della politica rispetto a tematiche legate alla transizione. Come sempre, l’acuirsi dello scontro non va di pari passo con la complessità dell’informazione, particolarmente necessaria su questi temi. Il dibattito rimane ingabbiato in slogan e non si vede nella politica e nei media lo spazio di elaborazione culturale che dovrebbero avere temi di questo tipo. Recentemente abbiamo osservato come la narrazione di certi momenti fondamentali per la politica italiana, come la Conferenza di Dubai (COP28) o il summit Italia-Africa e il relativo Piano Mattei, non siano stati al centro del dibattito culturale e politico italiano. Questo è un elemento decisamente negativo, perché non si parla solamente di politiche climatiche, ma di piani industriali, politica estera, mondo del lavoro e, in sintesi, del ruolo dell’Italia e dell’Europa negli equilibri mondiali.
Un clima ostile
Nel frattempo, il clima diventa terreno di scontro e se ne parla sempre meno approfonditamente. I movimenti, che negli ultimi anni hanno avuto un ruolo importante per promuovere queste tematiche, subiscono, in Italia in particolare, le conseguenze di norme fortemente repressive. Con il recente Decreto legge ribattezzato “Ddl eco-vandali”[3], le pene per chi imbratta o rovina beni pubblici sono aumentate e prevedono sanzioni pecuniare fino a 40.000 euro e la reclusione tra 1 e 5 anni. Per quanto si possa discutere sul merito e la condivisibilità di certe azioni, è indubbio che norme repressive non facilitino il dialogo e la creazione di spazi di discussione. Le norme devono essere adattabili a qualunque contesto. Per ironia della sorte, solo qualche mese dopo, di fronte alla protesta degli agricoltori, proprio i promotori di queste norme si sono trovati a sconfessarle, rendendosi conto che di fronte ad interlocutori diversi cambiava l’opinione pubblica e quella del legislatore. Quello che conta è che alla base di tutte le proteste vi sia la richiesta di elaborazione di una proposta politica strutturata che guardi al benessere delle persone e allo sviluppo di determinati settori.
L’urgenza di confronto e cambio di passo sull’azione climatica si declina anche in altri modi, che sono in buona parte conseguenza della grande permeabilità dell’informazione. Negli ultimi anni abbiamo assistito in Italia, e in tutta Europa, a un fiorire di cause sul clima. La prima in Italia, una causa civile contro lo Stato intentata dall’associazione Giudizio Universale e sottoscritta da più di 200 ricorrenti, contestava la lentezza dello Stato nel far fronte alla transizione energetica ed è stata considerata inammissibile per difetto di giurisdizione. La causa, seppur rigettata, ha evidenziato la mancanza di uno strumento con forza di legge nell’ordinamento nazionale, (come potrebbe esserlo una Legge quadro sul clima), che consenta di agire in giudizio per vedere rispettati i diritti garantiti a livello europeo e internazionale. Le leggi clima[4] sono presenti in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e permettono di armonizzare tutte le politiche nazionali, a cominciare da quelle industriali, sociali, e del lavoro per il raggiungimento degli obiettivi climatici. In Germania, proprio grazie alla Legge clima, cause simili hanno portato il governo ad una revisione degli obiettivi climatici che fosse più in linea con l’urgenza dettata dalle prove scientifiche.
Non solo lo Stato, ma anche le grandi aziende vengono sempre più spesso chiamate in causa rispetto all'aderenza dei propri piani con gli obiettivi climatici. È il caso di Eni, colosso dell'oil & gas con azionista di maggioranza lo Stato italiano, che sta in questi mesi fronteggiando una causa[5] che evidenzia la discrepanza tra i target climatici e i piani di investimento di breve-medio periodo dell'azienda. A prescindere dal risultato delle cause, queste dinamiche rendono evidente la richiesta urgente di trattare il clima in un modo più complesso, mettendo al tavolo tutti gli attori coinvolti. La risposta delle aziende non è però sempre in linea con l'apertura al dialogo necessaria per trattare temi complessi, come testimonia l'aumento delle cause, così dette SLAPP, che hanno l'obiettivo di silenziare l'informazione e l'attività di associazioni ritenute "ostili" [6].
La polarizzazione è solamente una parte della storia. Dal 2022, nella costituzione italiana leggiamo che: “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Un cambiamento epocale nella legge fondamentale dello Stato, che mostra come il clima sia sempre più in alto nelle priorità politiche e della società civile, con la possibilità di arrivare a novità impensabili solo pochi prima. I risvolti strutturali di questo cambiamento della Costituzione sono ancora da valutare, ma è un grande passo avanti verso il riconoscimento dell’importanza di alcuni argomenti che fino a pochi anni fa erano decisamente di nicchia.
Anche da un punto di vista “concreto”, l’Italia sta facendo passi avanti sulla quantità di energie rinnovabili installate: quasi 6 GW nel 2023, il doppio rispetto ai circa 3 del 2022, arrivando vicina agli impegni presi a livello europeo (circa 8GW all’anno). Siamo anche all’avanguardia in settori chiave per la transizione energetica. L’Italia, per esempio, è il paese in Europa per produzione di acciaio da riciclo.
Andando oltre la retorica da campagna elettorale, in Europa il governo italiano ha quasi sempre votato a favore delle rinnovabili, dell’efficienza energetica e degli obiettivi del Green Deal. Su 13 voti pubblici sulle legislazioni climatiche europee del pacchetto Fit for 55 l’Italia si è astenuta solo una volta. Visto l’ampio numero di parlamentari italiani presenti a Bruxelles, l’Italia potrebbe essere l’ago della bilancia nel decidere la composizione della nuova Commissione europea, determinando come l'UE vorrà dare seguito al Green Deal. Secondo le proiezioni, è probabile che ci sia un aumento della forza dei partiti di destra europei con conseguente riconsiderazione delle priorità UE. Nel 2019 il clima figurava come la terza di quattro priorità e questo è stato tradotto nel Green Deal e nel dedicare il 40% degli investimenti dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) alla transizione energetica. Se dopo cinque anni il clima figurerà ancora nelle priorità strategiche europee dipenderà anche dal voto italiano.
Stiamo vivendo un anno in cui andranno a votare quattro miliardi di persone a livello mondiale, un vero e proprio bivio della storia. Durante un momento del genere e di fronte a queste multiple sfaccettature e chiavi di lettura della realtà, la soluzione migliore è resistere alle semplificazioni e restituire la complessità che meritano questi temi, mettendoli al centro del dibattito pubblico e politico in modo sano.
[1] Mark Lynas et al (2021, 19 October) Greater than 99% consensus on human caused climate change in the peer-reviewed scientific literature. Environmental Research Letters https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/ac2966
[2] Mathiesen K, Camut N, Weise Z., Cooper C.,Guillot L. (2024, 22 February) Bears, cars and angry farmers fuel green backlash. Politico https://www.politico.eu/article/bears-cars-angry-farmers-fuel-green-deal-backlash-eu-agenda-european-commission-ursula-von-der-leyen/
[3] Algostino A. (2024, 20 gennaio) Ddl «eco-vandali»: l’egemonia della sicurezza contro la democrazia https://ilmanifesto.it/ddl-eco-vandali-legemonia-della-sicurezza-contro-la-democrazia
[4] Giulia Colafrancesco G, Di Mambro C.(2023, 20 gennaio) Una governance per il clima in Italia: Quali elementi per una legge quadro per il clima https://eccoclimate.org/it/una-governance-per-il-clima-in-italia/
[5] Greenpeace Italy (2023, 9 maggio) Causa civile contro ENI presentata da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani: «L’operato della società peggiora la crisi climatica e viola i diritti umani» https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/17743/causa-civile-contro-eni-presentata-da-greenpeace-italia-recommon-e-12-cittadine-e-cittadini-italiani-loperato-della-societa-peggiora-la-crisi-climatica-e-viola-i-diritti-umani/
[6] Greenpeace Italy (2024, 15 febbraio) Il 16 febbraio c’è la prima udienza contro ENI https://www.greenpeace.org/italy/storia/21406/il-16-febbraio-ce-la-prima-udienza-contro-eni/