Il suolo riesce a immagazzinare più carbonio delle foreste, e questa capacità di accumulo potrebbe essere uno strumento importante per la salvaguardia del clima. I crediti di carbonio (“carbon credits”) negoziabili sono stati pensati per incentivare l’accumulo o la conservazione di carbonio nel suolo. Tuttavia, rischiano di fatto di intaccare gli sforzi fatti per ridurre le emissioni inquinanti.
Il suolo contiene grandi quantità di carbonio, soprattutto sotto forma di humus, la materia organica che si forma dalla decomposizione di piante e animali. Si stima che i primi 30 centimetri del suolo racchiudano circa 700 miliardi di tonnellate di carbonio, più dei 560 miliardi di tonnellate immagazzinati dalle piante, soprattutto nelle foreste. Essendo un serbatoio naturale di anidride carbonica (CO2), i suoli svolgono un ruolo determinante nel contrastare la crisi climatica. I modelli suggeriscono che si potrebbero isolare nel suolo da due a cinque miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, una possibilità che dipende però dall’utilizzo futuro del suolo e dall’andamento della crisi climatica. Oggi, in molte parti d’Europa, i suoli (ad esempio, le torbiere drenate) sono fonti nette di carbonio, perché ne emettono più di quanto ne assorbano.
Ridurre le emissioni deve rimanere una priorità se vogliamo raggiungere l’obiettivo, fissato dall’accordo di Parigi, di limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C. Oltre a un taglio drastico delle emissioni, lo stoccaggio di carbonio nel suolo può giocare un ruolo piccolo ma importante nelle politiche per il clima, perché favorisce l’adattamento ai cambiamenti climatici e il ripristino dei suoli sani. Di conseguenza scienziati, esperti e politici stanno esplorando sempre di più le potenzialità del suolo come bacino naturale di carbonio. Uno degli approcci possibili è la cosiddetta carbon farming (letteralmente “agricoltura del carbonio”), che comprende una serie di attività volte ad aumentare la quantità di carbonio nei suoli e nelle foreste: ad esempio, una migliore rotazione delle colture, la semina diretta, la pacciamatura, la riumidifcazione delle torbiere drenate, piantare alberi in terreni deforestati e l’agroforestazione (una pratica che integra alberi e colture sullo stesso terreno).
Il carbon farming dovrebbe essere finanziato attraverso la vendita dei cosiddetti crediti di carbonio, che compenserebbero le emissioni di gas serra come la CO2. L’Unione europea sta ora cercando di definire un quadro normativo per la compensazione delle emissioni di carbonio, anche attraverso lo stoccaggio di carbonio nel suolo. Il principio è semplice: gli agricoltori si impegnano, tramite metodi specifici, ad aumentare il contenuto di carbonio nei loro terreni per un certo periodo di tempo e, per ogni tonnellata di CO2 stoccata, ricevono un credito di carbonio. Le aziende possono poi acquistare questi crediti per compensare le proprie emissioni e sostenere di offrire prodotti o servizi a impatto zero. Tuttavia, questo sistema di compensazione è controverso. Le ricerche hanno dimostrato che molte aziende fanno grande affidamento sul sistema delle compensazioni per centrare i propri obiettivi ecologici. Comprando i crediti, possono continuare a emettere gas serra come prima, spacciandosi però come imprese a impatto zero, una pratica stigmatizzata spesso come greenwashing.
La compensazione delle emissioni di carbonio si basa sull’idea che ogni credito equivale a una tonnellata di carbonio immagazzinata nel terreno. Ad oggi, però, non esiste un metodo standard e accurato per misurare il tasso di conservazione di carbonio nel suolo. Il contenuto di carbonio organico può variare molto, anche nello stesso terreno, e non si sa se il carbonio stoccato rimarrà nel suolo per sempre o meno. Per compensare realmente le emissioni di CO2, il carbonio dovrebbe restare nel suolo per lo stesso periodo di tempo in cui l’anidride carbonica è rimasta nell’atmosfera, ma è impossibile garantire uno stoccaggio permanente, o se non altro a lungo termine, poiché il contenuto di carbonio nel suolo è facilmente reversibile. I cambiamenti nelle pratiche agricole e gli eventi atmosferici estremi sempre più frequenti a causa della crisi climatica possono causare da un momento all’altro il rilascio del carbonio stoccato nel suolo.
Le critiche mosse agli schemi di scambio delle quote di emissione hanno portato alla formulazione di proposte alternative, come quella di trattenere una parte del carbonio sequestrato come riserva anziché venderlo tutto sotto forma di crediti. Tuttavia, l’esperienza dello scambio di crediti di carbonio delle foreste ha dimostrato che anche questo approccio comporta gravi rischi. In California, gli incendi boschivi hanno già consumato il 95 per cento delle riserve di crediti di carbonio in meno di dieci anni, riserve che in teoria avrebbero dovuto compensare le emissioni di carbonio del prossimo secolo. Dato che la crisi climatica si sta aggravando, aumenta la probabilità che il carbonio stoccato venga immesso nuovamente nell’atmosfera. L’Ue spera di affrontare il problema creando dei crediti di carbonio che scadano dopo un certo periodo di tempo. Questo approccio comporterà nuove difficoltà nella supervisione dell’uso dei crediti.
In paesi come Australia e Scozia, lo scambio di crediti di carbonio ha fatto impennare i prezzi dei terreni, a danno soprattutto di giovani agricoltori e agricoltrici o di chi possiede piccole proprietà. Anni di esperienza con i crediti di carbonio delle foreste hanno anche dimostrato che il potenziale guadagno finanziario ricavabile dalla vendita di crediti di carbonio ha incentivato in tante regioni l’accaparramento delle terre. In Uganda migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare i loro terreni perché un’azienda norvegese li ha presi in locazione per riforestarli. Il commercio internazionale dei crediti di carbonio rischia quindi di perpetuare dinamiche neocoloniali, permettendo a imprese del Nord globale di mantenere i propri modelli di business inquinanti appropriandosi di terra e suolo delle comunità del Sud globale.
Un robusto strato di humus è fondamentale per avere ecosistemi resilienti in grado di garantire la sicurezza alimentare, sostenere la biodiversità e mitigare siccità e alluvioni. Tuttavia, le misure di protezione del suolo non dovrebbero né rimpiazzare tagli corposi alle emissioni, né comprimere i diritti umani o il diritto alla terra. È essenziale che ogni sforzo per favorire lo stoccaggio del carbonio nel suolo sia parte di strategie più ampie, che diano la priorità alla giustizia sociale, alla sostenibilità ambientale e al benessere a lungo termine di tutte le comunità.
Questo articolo, originariamente pubblicato in inglese su boell.de, è stato tradotto in italiano da Laura Bortoluzzi ed edito da Elena Pioli | Voxeurop