A dieci anni dalla “estate dell’immigrazione” ancora si continua a discutere animatamente di quanto accaduto e delle decisioni prese all’epoca. In che modo quella stagione si differenzia dall’approccio del 2022 nei confronti delle persone provenienti dall’Ucraina che chiedevano protezione? Quali aspetti sono da valutarsi positivamente e quali sono passibili di miglioramento? Dietrich Thränhardt traccia un bilancio delle politiche di asilo e integrazione dell’ultimo decennio.
Crisi dei rifugiati: 2015 e 2022
Sono passati dieci anni dalle struggenti immagini che mostravano il corpo senza vita del bambino Alan Kurdi sulla costa turca, le barche cariche di profughe e profughi nel Mar Egeo, le persone incolonnate alle frontiere, le volontarie e i volontari alla stazione centrale di Monaco; dieci anni dalla campagna di solidarietà con le persone rifugiate promossa dal quotidiano conservatore BILD. E, a dieci anni da quella “estate dell’immigrazione”, ancora si continua a discutere animatamente di quanto accaduto e delle decisioni prese all’epoca; ancora si discute di quel famoso “Ce la faremo” (“Wir schaffen das”) pronunciato da Angela Merkel. All’ottimismo dell’ex cancelliera fanno da contraltare l’ex ministro degli interni Seehofer, che nel 2018 considerava l’immigrazione “madre di tutti i problemi”, e l’attuale cancelliere Merz, che oggi chiede ai socialdemocratici, suoi alleati di governo, di porsi in maniera più critica nei confronti del fenomeno migratorio (Tagesschau 2025). Facendo di tutta l’erba un fascio, Merz si colloca nella scia delle estenuanti polemiche che hanno visto coinvolte soprattutto CDU e CSU e che sono diventate il cavallo di battaglia di AfD. Spesso concentrate su aspetti in realtà irrilevanti e poco praticabili, queste polemiche hanno trasformato il clima politico e il sistema partitico, diffondendo una sensazione di insicurezza.
Fig. 1: Arrivi di profughe e profughi in Germania 2013-2024
La crisi dei rifugiati connessa alla guerra in Ucraina ha suscitato una reazione emotiva decisamente minore rispetto a quella del 2015 e questo benché abbia condotto in Germania, all’improvviso e nel giro di poche settimane, un maggior numero di persone (Fig.1). La sproporzione negli arrivi risulta addirittura più marcata se consideriamo l’intera Europa: nel 2015 ci furono all’incirca un milione di arrivi complessivi, mentre gli arrivi dall’Ucraina registrati nel 2022 furono più di quattro milioni. Si è trattato del più grande flusso migratorio in Europa dal 1945/46. Ma se nel 2015 era scoppiata un’accesa polemica sull’accoglienza i cui echi durano ancora oggi, dopo l’attacco russo del 2022 la Commissione europea ha impiegato soltanto una settimana per accordarsi su una gestione comune della crisi. Ad oggi non c’è mai stato alcun contrasto su chi, tra i paesi membri, dovesse accogliere le persone provenienti dall’Ucraina. Se dal 2015 ogni apertura dei confini ai richiedenti asilo ha sempre suscitato discussioni, per chi fugge dall’Ucraina le frontiere sono sempre rimaste aperte. Non solo: ucraine e ucraini possono scegliere liberamente il paese europeo nel quale cercare rifugio. Eppure, dopo le prime settimane, l’interesse dei media per la questione è scemato e da allora di profughe e profughi ucraini si è parlato molto poco, mentre delle decisioni prese durante la crisi del 2015 si continua ancora a discutere con fervore. Nel caso ucraino poi, la pratica della “libera scelta” ha reso, contro ogni pronostico, l’accoglienza più semplice, con una de-burocratizzazione radicale a livello europeo. La Germania, però, non ha seguito le orme dell’UE.
Sia nel 2015 che nel 2022 c’erano state grandi aspettative rispetto all’inserimento di rifugiate e rifugiati nel mercato del lavoro e alla possibile soluzione della carenza di manodopera in diversi settori; eppure, l’integrazione lavorativa si è rivelata piuttosto lenta. Nel caso di persone provenienti dalla Siria e dal Medioriente in generale, questa lentezza è stata spesso giustificata con lo scarso livello di istruzione o con la “diversità” culturale. Ma nel 2022, sono arrivate anche persone altamente qualificate e in maggioranza donne. Se anche queste persone impiegano così tanto tempo per trovare lavoro in Germania e se nel corso degli anni la quota di coloro che trovano un’occupazione adeguata alla propria formazione addirittura diminuisce, è chiaro che il problema è da ricondurre a dinamiche interne all’amministrazione tedesca.
Non è un caso che l’inserimento di rifugiate e rifugiati nel mercato del lavoro sia al centro del dibattito pubblico. Chi trova lavoro contribuisce al bene comune e acquisisce sicurezza, viene accettato ed entra in contatto con colleghe e colleghi, avviandosi su una nuova strada di autodeterminazione. Chi invece resta lungamente disoccupato perde autostima e spendibilità sul mercato del lavoro, viene percepito come un peso e rimane isolato. E oltretutto in Germania si registra anche una carenza di forza lavoro in tutti i settori economici.
Un nodo importante è quello del rapporto tra l’iniziativa di privati che cercano di rendersi utili e l’intervento regolatore dello Stato. Di persone pronte a dare una mano se ne sono viste tante, sia nel 2015/16 che nel 2022: in entrambi i casi c’è stato uno sforzo di solidarietà che ha visto coinvolte ampie fasce della popolazione. Ma nel 2022 la società civile è stata messa nelle condizioni di dare un contributo ben più rilevante. Se nel 2015 tutti i rifugiati e le rifugiate venivano alloggiati in strutture statali o comunali, spesso in grandi tende o edifici, nel 2022 centinaia di migliaia di ucraine e ucraini sono stati accolti in seno a famiglie tedesche – per non parlare di quello che è successo a livello europeo, dove si parla di milioni di persone accolte da privati (Thränhardt 2023). Nel 2015, la gestione dell’accoglienza è stata per i comuni uno sforzo enorme, mentre nel 2022 l’accoglienza privata ha funzionato senza intoppi. Inoltre, intrattenere rapporti personali ha aiutato rifugiate e rifugiati a ritrovare la gioia di vivere e a sentirsi inseriti nella società (Herpell et al. 2025). Senza il significativo contributo dell’iniziativa privata, gli Stati europei sarebbero stati sovraccarichi. Anche dopo le grandi ondate iniziali, volontarie e volontari hanno proseguito la propria attività collaborando in maniera proficua con le istituzioni – al contrario di quanto avviene di norma nel sistema dell’asilo, dove il volontariato spesso si scontra con regole troppo rigide e istituzioni oberate di lavoro (Schlee / Schammann / Münch 2023). L’Irlanda ha risolto i suoi problemi nel campo dell’accoglienza destinando alle famiglie ospitanti un contributo forfettario di 400 €, successivamente aumentato a 800 €.
Procedure d’asilo inefficienti, ritraumatizzazione, costi e ritardi nell’integrazione
Nel 2015, durante “l’estate dell’immigrazione”, lo Stato è riuscito ad accogliere e alloggiare chi arrivava dalla Siria, ma non si può certo dire che sia stato rapido nel lavorarne le richieste d’asilo: il divieto di svolgere attività lavorative, i tempi d’attesa e gli iter burocratici hanno ostacolato significativamente l’inserimento di queste persone nel mercato del lavoro. Secondo l’Istituto per il mercato del lavoro IAB, della popolazione siriana rifugiata in Germania dopo otto anni hanno trovato lavoro l’86 percento degli uomini ma soltanto il 33 percento delle donne, nella stragrande maggioranza con retribuzioni basse (Brücker et al 2025). L’aumento negli anni della partecipazione degli uomini al mercato del lavoro è da valutarsi positivamente, mentre non possiamo dire lo stesso per quella femminile. In generale va però constatato come ci sia voluto parecchio tempo prima che queste persone potessero lavorare in condizioni regolari e che durante questo periodo di inattività lo Stato ha dovuto sostenere ingenti spese di sostentamento e di gestione amministrativa. Oltretutto si trattava per lo più di persone nel pieno dell’età lavorativa alle quali è stato a lungo impedito di mettere a frutto le proprie risorse, principalmente a causa della durata della procedura d’asilo.
Proprio rispetto a tali lungaggini, il governo federale aveva espresso aspre critiche già nel 2016:
“Attualmente le procedure d’asilo hanno una durata eccessiva: quasi sei mesi in media, periodo durante il quale le richiedenti e i richiedenti non sanno cosa sarà di loro. Le persone che vedranno accolta la propria richiesta e quindi potranno rimanere in Germania avranno così accesso con ritardo alle misure d’integrazione e di conseguenza impiegheranno molto tempo prima di riuscire ad accedere al mercato del lavoro. Ma anche nel caso di diniego, la lunga attesa dovuta alla durata della procedura rende più difficile il ritorno nel Paese di provenienza. […] Non da ultimo, è per questa ragione che, tendenzialmente, più è lungo il periodo trascorso in Germania più è probabile che ad un diniego segua un provvedimento di sospensione dell’espulsione, il che implica la messa in campo di risorse che si potrebbero altrimenti impiegare a beneficio di donne e uomini legittimamente titolari di protezione”. (BT-Drs. 18/7203).
Da allora le cose non sono affatto migliorate e non è mai stato raggiunto l’obiettivo prefissato di un tempo di lavorazione delle richieste di asilo pari a tre mesi. (Tab. 1). Governo e opinione pubblica si sono ormai rassegnati al fatto che le tempistiche sono quelle che sono e, nel 2025, la durata delle procedure è persino aumentata, e di molto, superando la soglia dell’anno.
Tabella 1: Durata delle procedure d’asilo (in mesi) dal 2014
Da quando è caduto il regime di Assad, non vengono più elaborate le richieste presentate da cittadine e cittadini siriani, mentre quelle presentate da chi proviene dalla striscia di Gaza vengono elaborate solo su richiesta del magistrato. Recentemente il presidente dell’ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (BAMF) Sommer ha rilasciato dichiarazioni a dir poco incredibili a favore dell’abolizione del sistema di asilo che, nel frattempo, sembra voler rendere ancora più farraginoso. Anche la qualità delle decisioni prese continua a risultare problematica: nel 2023 il 24,4 percento delle decisioni sottoposte al vaglio di un tribunale è risultato errato o illegittimo (BT-Drs. 20/12228). Inoltre, tre quarti dei dinieghi vengono impugnati, il che grava enormemente sui tribunali amministrativi che si trovano a riesaminare i casi nel merito. I tentativi di migliorare e accelerare le procedure avvicinandosi al modello svizzero sono stati interrotti nel 2017, i relativi report accantonati e poi messi in rete dal Consiglio per i rifugiati della Bassa Sassonia. Da allora questi tentativi non sono più stati ripresi (BAMF 2017; Thränhardt 2020, p. 41).
La lunghezza delle procedure comporta l’immobilismo delle e dei richiedenti asilo che, rimanendo in attesa senza occupazione e senza prospettive, vengono ritraumatizzati, mentre iniziare rapidamente una nuova vita permetterebbe loro di acquisire sicurezza e prospettive. Insomma: è assolutamente urgente rendere le procedure e tutto il sistema più rapido ed efficiente (Thränhardt 2019).
Perché così tante ucraine e ucraini altamente qualificati non trovano lavoro?
Il 5 aprile 2022 la Commissione Europea ha raccomandato agli Stati membri di adottare misure volte “al riconoscimento delle qualifiche professionali” senza “ostacoli burocratici” per consentire a chi era fuggito dall’Ucraina di trovare rapidamente un lavoro corrispondente alle proprie competenze, “a vantaggio sia dell’individuo che della comunità ospitante”. La raccomandazione riguardava “gruppi di professioni sanitarie, didattiche, giuridiche, sociali o artigiane” con l’obiettivo di risolvere le “carenze” registrate in questi settori (Commissione Europea 2022). La Commissione sembrava rivolgersi proprio alla Germania, dove tanto si lamenta la carenza di autotrasportatrici e autotrasportatori, educatrici ed educatori, medici, farmaciste e farmacisti e operatrici e operatori socio-sanitari.
Eppure, la Germania non ha dato seguito a questa raccomandazione e persino autotrasportatrici e autotrasportatori ucraini impiegano più di due anni per ottenere il riconoscimento (Thränhardt 2024, p. 17). Insomma, resta immutata la tanto deprecata lentezza nelle procedure di riconoscimento delle qualifiche professionali estere e, con un tasso di riconoscimento annuo di circa 60.000 diplomi professionali a fronte di circa 600.000 ucraine ed ucraini in età lavorativa, era chiaro che ci sarebbe stato un problema. Un sondaggio della giornalista Kaja Klapsa ha rilevato che nel luglio del 2024 erano stati autorizzati ad esercitare la professione 187 medici provenienti dall’Ucraina a fronte di 1402 richieste ancora in lavorazione. La maggior parte dei medici non aveva neppure presentato domanda a causa dei costi troppo elevati e dei numerosi ostacoli burocratici (Thränhardt 2024, p. 18).
La Polonia, che assieme alla Repubblica Ceca e ai Paesi baltici è il Paese che ha accolto più rifugiate e rifugiati pro capite (fig. 2), ha approvato in fretta una legge speciale che ha consentito l’accesso al mercato del lavoro a “medici, dentisti, infermiere, ostetriche, psicologi, docenti e ricercatori presso istituti accademici, assistenti scolastici (previa conoscenza della lingua polacca), minatori, personale di cura e della pubblica amministrazione” (ECRE 2023, tradotto). Già nel novembre 2022 si registravano il 65 percento di occupati e il 54 percento di persone che erano riuscite a prendere in affitto un appartamento (Thränhardt 2024, p.26). Secondo la società di consulenza Deloitte, nel 2024 il 69 percento delle persone ucraine rifugiate lavorava, il che implica maggiore specializzazione e maggiore produttività; complessivamente, il contributo di rifugiate e rifugiati ha portato ad una crescita economica del 2,7 percento (Deloitte/UNHCR 2025). Gli introiti fiscali riferibili alla popolazione ucraina rifugiata hanno decisamente superato gli esborsi e i problemi che ancora si riscontrano riguardano chi è eccessivamente qualificato, non parla fluentemente il polacco o è anziano.
Questi dati sono evidentemente in contrasto con gli elevati costi dell’immigrazione registrati in Germania dove, secondo quanto dichiarato dal ministro delle finanze, nell‘agosto 2025 lo Stato ha speso, soltanto per gli aiuti alle ucraine e agli ucraini in Germania, 25 miliardi di euro – la stessa cifra che spende per sostenere lo sforzo bellico ucraino.
Fig. 2: Rifugiate e rifugiati ucraini in Europa (agosto 2025)
In alcuni luoghi, anche in Germania ci si è mossi rapidamente. La Sassonia, ad esempio, nel 2022 ha subito assunto del personale docente ucraino, inizialmente per attività di assistenza a bambine e bambini ucraini e poi anche, in presenza di una sufficiente conoscenza della lingua tedesca, nell’insegnamento generale. Paradigmatico in questo senso è l’esempio di una docente che in Ucraina insegnava tedesco e inglese. La Baviera, invece, su internet continua a puntualizzare fermamente che il personale docente extraeuropeo e svizzero non può ottenere l’abilitazione all’insegnamento solo sulla base del riconoscimento di titoli conseguiti all’estero. Anziché per l’abilitazione quindi, la Baviera opta per contratti di supplenza a tempo determinato. Insomma: ogni Land fa per sé e le competenze matematiche del personale docente ucraino non sono state messe a frutto.
In generale, l’accoglienza della popolazione ucraina rifugiata da parte delle istituzioni tedesche è stata lenta e complicata e, fino al primo giugno 2022, la legge imponeva il divieto di lavorare. Ad ucraine e ucraini sono stati poi imposti corsi di lingua obbligatori ma, vista la sproporzione tra i pochi corsi offerti e le molte richieste, i tempi di attesa sono stati lunghi. Nell’autunno del 2022 si è registrato addirittura un calo occupazionale tra le donne ucraine. (Brücker et al 2023, p. 72). La strategia della “lingua come prima cosa” non ha dato i frutti sperati, come ha evidenziato in un grafico lo strumento di monitoraggio dell’immigrazione dell’Assia (2024, p. 322). Inoltre, è aumentata la quota di persone che svolgono lavori non qualificati e il mancato riconoscimento dei titoli ha fatto sì che le qualifiche professionali della popolazione ucraina rifugiata non potessero essere adeguatamente sfruttate. Stando alle statistiche dell’Agenzia federale per il lavoro, nel gennaio 2025 il 45,1 percento delle ucraine e degli ucraini era impiegato con mansioni di “assistente”, solo il 7,7 percento con mansioni di “specialista” e solo l’8,8 percento con mansioni di “esperta o esperto”.
A fronte di una situazione a dir poco insoddisfacente, il governo ha avviato l’iniziativa “Job-Turbo” e ha nominato un incaricato speciale per velocizzare l’accesso di rifugiate e rifugiati al mercato del lavoro, con l’idea che la lingua potesse essere appresa proprio attraverso la partecipazione lavorativa. L’istituto per lo studio del mercato del lavoro e delle professioni e il Consiglio degli esperti economici, però, nonostante i fallimenti, si sono mantenuti fedeli alla strategia della “lingua come prima cosa”, ignorando fatti e ricerche (Kosyakova et al. 2024; SVR 2025, 125-136). Questa miopia rappresenta un problema, almeno quanto il fatto che su tutti i media, in seguito alle polemiche avanzate da esponenti di spicco della CSU, riecheggiano – ormai anche da parte di autorevoli economisti e “saggi dell’economia” – richieste di comminare “sanzioni” o di cominciare a “giocare duro”.
Il mancato riconoscimento dei titoli continuerà a impedire ad ucraine e ucraini altamente qualificati di svolgere lavori corrispondenti alle loro competenze. E cosa se ne fa la Germania di una dottoressa ucraina che va a fare le pulizie?
La naturalizzazione come indicatore e conferma di un’avvenuta integrazione
Nel contesto internazionale la Germania recupera qualche posizione sul tema della cittadinanza, in particolare per quanto riguarda la naturalizzazione di rifugiate e rifugiati siriani. Questi numeri sono infatti cresciuti di anno in anno e, a fine 2024, aveva acquisito nazionalità tedesca il 28 percento del totale delle rifugiate e dei rifugiati siriani presenti in Germania, con molte altre richieste in lavorazione. Per acquisire la cittadinanza sono necessarie una buona conoscenza della lingua tedesca, un reddito sufficiente, il possesso di alcune nozioni sul funzionamento dello Stato e della società e l’adesione ai principi liberali e democratici; inoltre bisogna essere incensurati. Insomma: bisogna essersi integrati piuttosto bene e su vari fronti.
Tabella 2: : Naturalizzazione di siriane e siriani 2019-2024
| Anno | Cittadine e cittadini siriani che hanno acquisito la cittadinanza (per anno) | Percentuale di naturalizzazioni sul totale della popolazione siriana in Germania |
| 2019 | 3.855 | |
| 2020 | 6.700 | |
| 2021 | 19.095 | |
| 2022 | 48.390 | |
| 2023 | 75.485 | |
| 2024 | 83.755 | 9% |
| 2020-2024 | 237.280 | 28% |
Anche in base alla vecchia legge sulla cittadinanza, a cittadine e cittadini siriani non si applicava l’obbligo di rinuncia alla propria nazionalità, dal momento che la Siria, come molti altri stati mediorientali e latinoamericani, non la revoca in nessun caso. Il diritto tedesco esentava cittadine e cittadini di questi stati dall’obbligo di rinuncia alla nazionalità precedente, rendendo così meno complessa l’acquisizione di quella tedesca. La nuova legge sulla cittadinanza, introdotta nel 2024, prevede sempre la possibilità di conservare la nazionalità precedente e riduce i tempi d’attesa. Nel 2024 si calcolava una media di 7,4 anni per la naturalizzazione di siriane e siriani – meno della media generale, pari a 11,8 anni. Tra le cinque nazionalità con il più elevato tasso di naturalizzazione si contano (dopo le persone d’origine turca, al secondo posto) i seguenti gruppi nazionali di rifugiate e rifugiati: irachene e iracheni (13.545 naturalizzazioni, ovvero il 6 percento della popolazione irachena presente in Germania) nonché afghane e afghani (10.085 naturalizzazioni). In generale, potendosi aspettare ben poco dai regimi di casa propria, rifugiate e rifugiati tendono sempre di più a voler acquisire la cittadinanza tedesca, che assicura loro protezione e sicurezza (Thränhardt 2017, p. 14).
Nel 2022, nei paesi OCSE le naturalizzazioni di cittadine e cittadini siriani sono state in totale 134.000 (OCSE 2024), di cui solo il 36 percento in Germania, nonostante l’elevato tasso di rifugiate e rifugiati accolti. Con l’aumento degli ultimi anni, però, è probabile che la quota di naturalizzazioni tedesche sia arrivata a corrispondere proporzionalmente al numero complessivo di rifugiate e rifugiati accolti. Si tratta di una vera e propria svolta: la Germania non solo si avvicina alla media OCSE per quanto riguarda le naturalizzazioni, ma anche ad una maggiore corrispondenza tra persone residenti sul territorio e persone in possesso della cittadinanza tedesca. Tra i vari stati federati sussistono grandi differenze riguardo ai tassi di acquisizione della cittadinanza, dovute principalmente alla disponibilità di personale addetto e ai tempi di attesa. Secondo l’ufficio federale di statistica, lo Schleswig-Holstein avrebbe raggiunto il 7,8 percento del suo potenziale di naturalizzazione, il Baden-Württemberg soltanto il 3,9 percento. Nei Länder dell’ex Germania Orientale, che accolgono quote più elevate di rifugiate e rifugiati, si registrano invece il 9,3 percento in Turingia e il 6,2 percento in Sassonia.
In sintesi, la Germania ha recuperato terreno per quanto riguarda le naturalizzazioni e sta cominciando a raggiungere un equilibrio tra residenza e cittadinanza. Le riforme del 1999, del 2014 e del 2024 hanno contribuito a questo risultato semplificando gli iter burocratici.
Priorità al lavoro piuttosto che ai dibattiti pretestuosi
Entrambe le ondate migratorie hanno visto il contributo di molte persone, che nel 2022 hanno anche accolto direttamente rifugiate e rifugiati ucraini. Lo Stato ha speso molto nelle misure di sostegno ma ha anche rallentato l’accesso al mercato del lavoro con divieti, lunghi tempi d’attesa, riserve di autorizzazione e mancato riconoscimento delle qualifiche. Questa malagestione ha prodotto frustrazione e scarsa accettazione da parte di tedesche e tedeschi, contribuendo a fare della migrazione motivo di malessere generalizzato. Andrebbe eliminato del tutto il divieto di esercitare attività lavorative, andrebbe agevolato l’accesso al mercato del lavoro e andrebbero riconosciute le qualifiche di immigrate e immigrati cosicché possano contribuire al benessere generale invece di rimanere troppo a lungo dipendenti da sussidi e assistenza.
Attualmente si discute di temi come la carta prepagata per richiedenti asilo o l’equiparazione del sostegno a rifugiate e rifugiati ucraini a quello dei richiedenti asilo in generale. Questo complica la gestione, peggiorando il funzionamento delle istituzioni preposte. Andrebbe fatto lo sforzo contrario: leggi e procedure andrebbero semplificate e digitalizzate, nel dubbio privilegiando il lavoro rispetto alle misure di deterrenza; andrebbe premiato e agevolato il volontariato e messo a frutto il più possibile il potenziale della popolazione rifugiata. In questo senso, una misura riuscita è proprio la riforma della cittadinanza, che ha semplificato le procedure rendendo possibile alle persone migranti ben integrate di ottenere rapidamente la piena appartenenza alla Germania e la piena libertà di azione.
Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono necessariamente quelle della Fondazione Heinrich Böll.
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Questo articolo è stato originariamente pubblicato in tedesco qui : heimatkunde.boell.de
Traduzione di Susanna Karasz, edizione di Isabel Cellati | Voxeurop e Benjamin Fishman