I populisti cechi sono in piena ascesa, in parte a causa delle politiche antisociali del governo di destra del paese. Se i liberali danno la colpa alla disinformazione, la sinistra continua a languire o, peggio, a flirtare con idee fasciste. E la fobia per i migranti la fa da padrone.
È il 6 aprile e la temperatura supera i 30 gradi. I primi mercatini dell'anno aprono in piazza Malá Strana, nel cuore della vecchia Praga. Le bancarelle vendono di tutto, dalle prelibatezze argentine alla limonata biologica. Per arrivarci, bisogna farsi strada tra centinaia di persone, per lo più giovani, che non sono qui per uno spuntino: bandiscono cartelli sui quali è scritto “Il mio corpo, la mia scelta” o “Noi siamo i veri pro-life”.
Peter, del sindacato studentesco Mater Noster, urla in un megafono: “Il cosiddetto Movimento pro-life (Hnutí pro život) non è affatto pro-life! Noi siamo quelli della giustizia sociale e dei diritti dei lavoratori, siamo noi i pro-life! Pro-life per le donne, pro-life per i bambini, pro-life per le persone queer, pro-life per autonomia sul proprio corpo, pro-life con amore!”. Nel frattempo, un gruppo di persone in prima fila discute sul tempo del verbo dello spagnolo “No pasaran”.
Con la bandiera rosa che sventola sul palco, la folla si sposta per bloccare il vicino Ponte della Legione. Alcuni si siedono, altri si fermano esitanti intorno. Il blocco è assicurato da due scalatori, saliti sui cavi del ponte. La cosiddetta “Marcia per la Vita”, una parata annuale contro l'aborto, ancora non si vede arrivare all’orizzonte, ma la folla sul ponte canta: “Clerico-fascismo, immondizia!”.
Il governo ceco e i neofascisti
Il blocco della marcia antiabortista di aprile, la quarta protesta di questo tipo, si inscrive nella tradizione di contro-manifestazioni in occasione delle marce neonaziste, iniziata negli anni Novanta in Repubblica Ceca. All'epoca, l'estrema destra ceca si presentava con l’imagine “classica” e riconoscibile del neo-nazista: teste rasate, stivali e svastiche.
Come sottolinea il politologo Jan Charvát, in qualche modo era facile opporsi alla figura skinhead neonazista. E soprattutto, una parte della società condivideva alcune delle loro idee, come il razzismo anti-rom.
“Per molto tempo gli unici a parlare forte e chiaro contro i neonazisti sono stati gli anarchici”, sottolinea Charvát. “Ma gli anarchici dicevano anche ‘noi non siamo la società civile, siamo contro lo Stato’. In questo modo i blocchi antifascisti sono stati presentati dai media come un conflitto tra due gruppi, estremi e marginali, come una lotta tra skinhead e punk che non riguardava la gente comune”. I blocchi sono terminati nel 2007. Gli anarchici si sono resi conto che i neonazisti andavano alle manifestazioni soprattutto per attaccarli, spiega Charvát.
Nel 2015, in risposta alla cosiddetta crisi migratoria, l'estrema destra ha finalmente cambiato tattica. L’islamofobia ha sostituito razzismo e antisemitismo, l’euroscetticismo ha preso il posto del nazionalismo sfacciato e la tendenza alla retorica autoritaria è stata rimpiazzata dagli appelli alla democrazia diretta (non a caso il più forte partito ceco di estrema destra si chiama Libertà e Democrazia diretta).
Durante eventi pubblici esplicitamente contro i rifugiati, gli oratori sul palco erano uomini in giacca e cravatta. Questi personaggi sono riusciti a convincere una parte della società ceca che il mondo è controllato da organizzazioni non governative “non elette”. Se in diverse parti d’Europa ci sono state manifestazioni di solidarietà con i rifugiati siriani, a Praga si sono presentate solo poche decine di persone per sostenere la loro accoglienza.
In effetti, l'opposizione ai rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa è diventata un punto di consenso nella politica mainstream. La Repubblica Ceca ha accettato, in totale, dodici rifugiati nell'ambito delle quote Ue dell'epoca. Così, lo spettro dell'immigrazione musulmana ha rapidamente smesso di funzionare come tema di mobilitazione.
A quel punto la macchina della disinformazione e, così come il discorso dell’estrema destra, si sono rivolte ad altre crisi: la pandemia di coronavirus e le relative restrizioni, la guerra in Ucraina e l'arrivo di mezzo milione di rifugiati. E, non ultima, l'inflazione.
Queste crisi, questi momenti di frattura, si sono come condensate in un momento in cui i salari reali in Repubblica ceca sono diminuiti in maniera costante, su un periodo di oltre due anni. Alla fine del 2022 il paese ha registrato il più forte calo di questo tipo nell'Ocse.
Il governo ceco di destra in carica ha risposto a questo impoverimento della popolazione con la cosiddetta “austerità”, una politica di tagli motivata dall'ideologia neoliberista. E questo ha fatto il gioco delle correnti di estrema destra presenti nella società ceca. Queste ultime sono state fin troppo propense a dare la colpa della recessione economica, tra l'altro, agli aiuti all'Ucraina e all'opposizione (per quanto retorica) del governo al gas russo.
Nel settembre 2022, Jindřich Rajchl, ex membro del movimento di estrema destra Trikolóra, ha indetto una manifestazione antigovernativa chiamata Czechia Against Poverty. Tra le richieste dei manifestanti troviamo la nazionalizzazione dell'azienda energetica CEZ, l'abolizione del commissario governativo per i media e la disinformazione e il blocco degli aiuti militari all'Ucraina. L’appello ha riempito Piazza San Venceslao: oltre 70mila persone.
La superiorità morale dei liberali cechi
“Eravamo tutti inorriditi dal fatto che questi ‘fomentatori di paura’ fossero riusciti a portare così tanti sostenitori in Piazza San Venceslao”, ricorda Mariana Novotná di Milion Chvilek Pro Demokracii (“Un milione di momenti per la democrazia”), un'iniziativa civica che dal 2017 ha organizzato proteste di massa - le più grandi dalla rivoluzione del 1989 - contro Andrej Babiš, il Primo Ministro conservatore ceco (incriminato), uomo d'affari e proprietario di media, il tutto in una sola persona.
“Abbiamo percepito molta paura rispetto al rischio povertà. La società ceca temeva per l’inverno, per il freddo… Abbiamo voluto riunire persone che, nonostante la paura, sostengono una direzione pro-europea. Per far capire che nessuno di noi è solo”.
In parte ci sono riusciti. Andrej Babiš non ha ottenuto la maggioranza alle elezioni del 2021 ed è passato all'opposizione. La manifestazione del 2022 “La Cechia contro la paura” ha riunito un numero di persone simile a quello di Jindřich Rajchl. Ma Novotná ammette che i “Chvilkaři” sono attenti a limitare le loro critiche al governo, per evitare di aiutare Babiš o l'SPD (Svoboda a přímá demokracie, Libertà e Democrazia Diretta) di estrema destra.
Quando il gruppo ha preso di mira il governo, e ha toccato temi come la disinformazione o il conflitto di interessi del ministro della Giustizia Pavel Blažek: “Abbiamo dovuto restringere il campo d'azione. Non ci concentriamo sulle questioni socio-economiche. Non è il nostro tema principale e non abbiamo le competenze necessarie", spiega Novotná.
La principale risposta dei liberali cechi all'avanzata strisciante del neofascismo è stata uno sforzo paziente per fare debunking alla disinformazione. Purtroppo, spesso accompagnato da un accenno di superiorità morale nei confronti delle “masse non istruite”, eloquentemente illustrato dal termine “dezolát” (“illuso”) usato per descrivere coloro che diffondono e sostengono la disinformazione.
I liberali, all'interno che all'esterno della coalizione di governo, tendono a minimizzare il fatto che il governo stesso stia spingendo i suoi potenziali sostenitori tra le braccia dei populisti di destra, attraverso le politiche antisociali. Esiste poi, tra i liberali, una sorta di retorica che suggerisce, tra le righe, che i dezolát avrebbero dovuto impegnarsi di più per essere più istruiti e più abbienti.
“Non hanno nulla da vendere se non la paura”, commenta Dave dell'iniziativa Illumicati, i cui membri hanno partecipato alle manifestazioni nazionaliste di Rajchl con bandiere ucraine: “Sfruttando il risentimento antigovernativo dei cittadini meno abbienti, i cui problemi sono facilmente imputabili al governo. Non è che il governo stia facendo tutto bene, ma c'è da chiedersi se parte del problema non sia autoinflitto ”.
Più che la retorica anti-profughi o anti-femminista, ciò che più preoccupa i liberali cechi è che il populismo fascista oggi è spesso è filo-russo. L'opposizione “antisistema” è infatti fortemente critica nei confronti della politica estera del governo ceco orientata all'Occidente.
La crisi della sinistra ceca
Le radici sociali del neofascismo sono quindi considerate una priorità solo da una minoranza dell'attuale sinistra progressista, che in genere preferisce attaccare (a ragione) i populisti di destra su questioni culturali come l'aborto.
“Non siamo un partito politico e non è nostro compito persuadere nessuno”, sostiene Kryštof (il nome non è reale, su sua richiesta) del Kolektiv 115, che ha co-organizzato il blocco della Marcia per la Vita. “Stiamo promuovendo una politica basata su lavoratori, migranti, rom e trans. Rifiutiamo l'idea di una generica 'classe operaia' che è e sarà sempre xenofoba”.
Il recente blocco ha mobilitato un buon numero di persone, ma è stato eccezionale. “Il diritto all'aborto riguarda metà della popolazione”, afferma la sociologa Eva Svatoňová per spiegare la grande partecipazione: “Allo stesso tempo, è una questione unificante su cui la sinistra e le femministe sono d'accordo. Inoltre, basta guardare a ciò che il movimento pro-vita ha fatto negli Stati Uniti, Polonia, Italia e Slovacchia”.
Al contrario, invece, una manifestazione a metà marzo in occasione della Giornata internazionale contro il razzismo e il fascismo ha visto una scarsa partecipazione. La sinistra ceca langue e rimane divisa, insomma.
Nel 2021, per la prima volta, è uscita completamente dal parlamento, i suoi elettori sono stati sifonati dal movimento populista ANO del primo ministro Andrej Babiš. I socialdemocratici avevano scioccamente scelto di partecipare alla sua coalizione per due mandati, persino i comunisti l'hanno sostenuta per diversi anni.
La situazione è ulteriormente complicata dalla retorica anti-migranti e anti-femminista proveniente dai settori conservatori della sinistra ceca nella vana convinzione è che ciò contribuirà a riconquistare i tradizionali elettori di sinistra e a far sì che la sinistra torni a essere rilevante.
Da parte loro, i cosiddetti comunisti si candidano alle elezioni europee di quest'anno insieme a ex membri del movimento di estrema destra di Jindřich Rajchl. E sta diventando difficile tenere il conto dei socialdemocratici che hanno disertato a destra.
Bohumír Dufek, presidente dell'Associazione dei sindacati indipendenti, ha persino parlato alle manifestazioni di Rajchl. In seguito, ha invitato un noto divulgatore di disinformazione, Daniel Sterzik, a una protesta che accompagnava uno sciopero degli insegnanti, dando così ai media mainstream una scusa per parlare di qualcosa di diverso dalle richieste degli scioperanti.
Il politologo Ondřej Slačálek commenta: “Il ruolo dell'estrema destra nel nostro paese è stato assunto da una nuova corrente di conservatorismo, che proviene sia da destra che da sinistra e che si identifica contro i migranti, le donne, le minoranze e il liberalismo contemporaneo. Come è stato dimostrato dal fallimento [in Cechia] dell'uguaglianza matrimoniale o della Convenzione di Istanbul [sulla violenza domestica], questa corrente ha molto potere”.
Il suo collega Charvát ritiene che la letargia dell'opinione pubblica ceca nei confronti della minaccia fascista derivi principalmente dalla sua concezione della storia ceca: “Ci consideriamo una piccola nazione, mentre in Europa siamo più una nazione di medie dimensioni. C'è una persistente sensazione di essere manipolati, di essere bloccati alla periferia tra Russia e Germania”.
Questa smobilitazione è stata ulteriormente alimentata negli anni '90 da Václav Klaus, primo ministro di destra e poi leader del partito conservatore Democratico Civico (ODS). “Klaus vedeva l'attivismo civico come una usurpazione dei partiti politici, che dovevano vincere le elezioni e quindi erano gli unici attori legittimi che meritavano di essere sostenuti”, aggiunge Charvát.
Un forte avversario
Nel frattempo, l'attuale governo ceco di destra continua a perdere consensi: il suo indice di gradimento si aggira attualmente intorno al 17 per cento. A un anno e mezzo dalle elezioni parlamentari, il ritorno di Babiš come primo ministro sembra inevitabile.
Resta da vedere se governerà da solo o in una coalizione. I potenziali partner sono l'SPD di estrema destra o l'ODS (Občanská Demokratická Strana, Partito democratico civico) conservatore. Quest'ultimo è il partito più forte dell'attuale governo, ma vi è entrato proprio grazie alla promessa di rimuovere Babiš dal potere e “salvare la democrazia ceca”.
La sua presenza nel governo è comunque vantaggiosa per i potenti esponenti dell'oligarchia ceca, per cui sembra possibile un accordo post-elettorale tra ODS e Babiš. In effetti, lo spettro di una coalizione tra l'ANO di Babiš e l'SPD potrebbe rivelarsi utile come alibi per consentire all'ODS di governare con Babiš.
Qualunque sia l'esito, la probabilità - al limite della certezza - è che il prossimo governo ceco sarà indifferente ai rifugiati non bianchi, asservito all'oligarchia dei combustibili fossili e all'agroalimentare, e la sua priorità non sarà la coesione sociale.
Una presa di potere da parte dell'estrema destra, come tradizionalmente definita, non è imminente, anche se il prossimo governo Babiš potrebbe rivelarsi autoritario. Ma qualcosa della visione del mondo dell'estrema destra si è infiltrato da tempo nel tessuto democratico ceco. Sarà più difficile combattere questo fenomeno che un gruppo di teste calve e stivali.
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Fonte: https://voxeurop.eu/it/repubblica-ceca-estrema-destra-societa-civile/
Traduzioni di Francesca Barca | Voxeurop
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Petra Dvořáková è una giornalista ceca. Lavora come reporter presso Deník Referendum.