I centri delocalizzati per migranti, che operano in Albania sotto giurisdizione italiana, avrebbero inizialmente dovuto esaminare e gestire a livello extraterritoriale le richieste di asilo e accelerare i rimpatri. Dopo una serie di prevedibili blocchi da parte dell’autorità giudiziaria italiana, a marzo 2025 Roma ha rivisto l’accordo e convertito le strutture albanesi in centri per il rimpatrio, facendoli diventare zone grigie legali e vere e proprie colonie penali.

“A visitare i centri per migranti albanesi sono venute varie delegazioni, anche dalla Germania e dai Paesi Bassi. Alcune hanno manifestato interesse per le strutture, altre hanno chiesto se fosse possibile affittare parti della struttura”, ha detto una fonte all’interno dei centri albanesi finanziati dall’Italia, che hanno ufficialmente aperto i battenti nell’ottobre dello scorso anno.
Entrambe le missioni diplomatiche hanno confermato le visite. L’ambasciata olandese ha dichiarato che i suoi funzionari hanno preso parte a “una visita ufficiale nei mesi passati”, e anche quella tedesca ha visitato i centri insieme ad altri partner e delegazioni. Nessuna ambasciata ha voluto fornire dettagli sullo scopo di queste visite, sostenendo di “non poter fornire informazioni pubbliche sulle singole visite”.
Mentre altri paesi comunitari si sono detti interessati ad adattare il modello italiano alle loro politiche di asilo, il destino del progetto italo-albanese rimane incerto, soprattutto dopo che la Corte di giustizia europea (CGUE), l’1 agosto, ne ha messo in discussione le fondamenta giuridiche).
In base al protocollo Italia-Albania firmato nel 2023, i centri delocalizzati per migranti, in cui vige la giurisdizione italiana, avrebbero dovuto gestire extraterritorialmente le richieste di asilo e accelerare i rimpatri tramite procedura “prioritaria”. L’accordo si applicava solo a migranti maschi adulti provenienti dai cosiddetti “paesi sicuri”, soccorsi in acque internazionali dalle autorità italiane.
I tribunali italiani non hanno convalidato la custodia dei richiedenti asilo sbarcati in Albania fra ottobre 2024 e gennaio 2025, ordinandone il rientro immediato in Italia.
Lo scorso anno, appena varato, il protocollo si è scontrato con una serie di ostacoli legali dopo che il Tribunale di Roma ha contestato il meccanismo che regola le richieste di asilo, rifiutandosi di convalidare il trattenimento dei richiedenti asilo in Albania e il loro inserimento nelle procedure frontaliere accelerate sulla base del concetto di Paese di origine sicuro (Pos). Di conseguenza, i tribunali italiani non hanno convalidato la custodia dei richiedenti asilo sbarcati in Albania fra ottobre 2024 e gennaio 2025, ordinandone il rientro immediato in Italia.
In base a un pronunciamento della CGUE, che impedisce di designare un paese come sicuro se non lo è in tutto il suo territorio, i giudici italiani hanno stabilito per analogia che la procedura accelerata alla frontiera è stata applicata in modo illegittimo nell’ambito dell’accordo fra Italia e Albania. Tale decisione è arrivata a seguito dell’inserimento nella lista dei Pos di paesi quali Egitto e Bangladesh nonostante le discriminazioni di cui sono vittime alcuni gruppi a rischio, tra cui donne, minoranze e persone LGBTQIA+. Ne è seguita una richiesta formale del Tribunale di Roma alla CGUE di stabilire la compatibilità delle misure di rimpatrio con le normative UE, congelando temporaneamente le procedure accelerate per l’asilo condotte in Albania.
In seguito alla sospensione della prima fase del protocollo, per non lasciare i centri vuoti il governo italiano ha rivisto l’accordo a marzo del 2025 e convertito i centri di detenzione per migranti in centri di permanenza per il rimpatrio (CPR). Con il decreto 37/2025, divenuto legge il 28 marzo 2025, l’esecutivo ha autorizzato il trasferimento in Albania di individui già presenti sul territorio italiano e aventi ricevuto ordine di espulsione e non - come previsto dall’accordo - di migranti soccorsi in acque internazionali.
L’1 agosto, la CGUE si è pronunciata sulla possibilità per gli stati membri di designare un paese di origine come sicuro se sussistono eccezioni per determinati gruppi di persone, stabilendo che “un paese non può essere incluso nella lista dei paesi di origine sicuri qualora esso non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”. La Corte ha inoltre stabilito che gli stati membri possono designare paesi come “sicuri” solo sulla base di prove accessibili pubblicamente, che possano essere sottoposte all’esame dell’autorità giudiziaria, permettendo sia a chi richiede asilo sia ai tribunali di verificare e contestare la legittimità della designazione.
Di conseguenza, è improbabile che nell’ambito dell’accordo fra Italia e Albania riprendano i trasferimenti di persone richiedenti asilo soccorse in mare; un duro colpo alla prima fase del protocollo. Tuttavia, come sottolinea l’avvocata italiana Andreina De Leo, la situazione potrebbe cambiare con il nuovo Regolamento sulle procedure di asilo che entrerà in vigore a giugno del 2026. Il nuovo regolamento consente esplicitamente eccezioni per zone territoriali e gruppi di persone nella designazione dei Pos, oltre ad estendere le fattispecie in cui sono ammesse procedure accelerate, come nel caso di persone richiedenti asilo provenienti da paesi con un tasso di accettazione delle domande inferiore al 20 per cento. Resta da vedere se e come, nel corso del prossimo anno, la decisione della Corte di giustizia europea influirà sul futuro Patto sulla migrazione e l’asilo.
Centri trasformati in hub per il rimpatrio: un doloroso esperimento
Nonostante per il momento la prima fase dell’accordo sulle procedure accelerate di asilo sembri “lettera morta”, la seconda fase è ancora attiva. Con la riconversione delle strutture in Albania in hub per il rimpatrio, le persone migranti trasferite direttamente dall’Italia al CPR di Gjadër potrebbero ora essere trattenute fino a 18 mesi, in attesa di essere rinviate al proprio paese d’origine. Dall’11 aprile, sei gruppi di migranti – circa 140 individui in totale – sono stati trasferiti direttamente in Albania da CPR italiani all’inizio di agosto 2025,e solo 27 persone, secondo alcuni gruppi di monitoraggio indipendenti.
“Le persone migranti con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato di essere rimaste ammanettate per tutta la durata del viaggio, dalla partenza dall’Italia fino all’arrivo in Albania. Non le hanno liberate né per mangiare né per andare in bagno”, ha detto Rachele Scarpa, una parlamentare italiana che ha monitorato attivamente i trasferimenti di persone migranti dai centri in Italia a quelli in Albania.
Dopo lo sbarco nel porto albanese, le persone migranti vengono scortate al CPRdi Gjadër e, dato che attraversano il territorio albanese, la polizia di Tirana ha confermato di raccogliere impronte e informazioni personali nel proprio sistema interno TIMS (Total Information Management System). In anni recenti, il sistema ha subito ripetuti attacchi informatici e violazioni di dati riconducibili alla criminalità organizzata. Un’indagine penale avviata nel 2023 dalla Struttura speciale contro la corruzione e la criminalità organizzata (SPAK) ha rivelato che alcuni alti funzionari di polizia e pubblici ministeri avevano condiviso dati sensibili presi dal TIMS con gruppi criminali attraverso app di messaggistica cifrata. La conservazione dei dati biometrici delle persone migranti in un’infrastruttura così compromessa solleva molti dubbi e pone seri problemi in termini di protezione e uso improprio dei dati personali.
Un’impronta presa in Albania potrebbe essere usata un giorno per negare a qualcuno l’asilo nell’UE
Come sottolinea il Border Violence Monitoring Network, non c’è ancora piena interoperabilità fra i dati biometrici raccolti nel Tims e i sistemi europei. Tuttavia, gli accordi di cooperazione con i paesi dell’area Schengen, la presenza di Frontex e la pressione dei negoziati per l’ingresso nell’UE stanno spingendo il database biometrico albanese a “sintonizzarsi” con l’infrastruttura europea. Sul lungo periodo questa interoperabilità comporta dei rischi significativi: in base alla norma sui paesi terzi sicuri del nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo, laddove delle persone migranti riescano a entrare in uno stato membro dell’UE e presentare domanda di asilo e le loro impronte digitali rivelino un precedente transito in Albania (designata come paese terzo sicuro), i richiedenti potrebbero essere riportati proprio in Albania.. “Collegare questi database ai sistemi europei non li rende più sicuri, ma estende semplicemente per delega il controllo delle frontiere UE, riversando tutti i rischi sulle persone che attraversano i confini. In pratica, ciò significa che un’impronta presa in Albania potrebbe essere usata un giorno per negare a qualcuno l’asilo nell’UE”, spiega Hope Barker, esperta di politiche migratorie dell’Unione europea.
Una volta trasferite nel CPR di Gjadër con mezzi coercitivi e su basi non trasparenti, le persone migranti spariscono dietro mura che le isolano totalmente dal mondo esterno. Le ispezioni indipendenti condotte da garanti dei diritti umani – spesso insieme a membri del parlamento italiano, accompagnati da figure esperte in campo legale e sanitario – rivelano un quadro allarmante per quanto riguarda le condizioni di salute delle persone migranti trattenute nel CPR di Gjadër. “Nel registro degli eventi critici sono stati segnalati diversi tentativi di suicidio: persone che hanno cercato di cucirsi bocca, labbra e polsi; una persona ha addirittura bevuto dello shampoo”, ha raccontato la parlamentare olandese Anna Strolenberg dopo un’ispezione avvenuta a fine maggio 2025.
Parlamentari e delegati dei difensori civici sono le uniche persone a cui è permesso consultare il “registro degli eventi critici”, un giornale di bordo ufficiale in cui le autorità italiane sono obbligate a registrare incidenti che turbano il normale funzionamento dei centri. Durante la sua visita del 17 giugno, la deputata Scarpa ha contato 65 incidenti – cioè una media di un incidente al giorno – nel registro interno ufficiale, compresi atti diffusi di autolesionismo, tentativi di suicidio ed emergenze mediche.
“C’era un uomo georgiano, trasferito dall’Italia al CPR di Gjadër, che aveva mostrato sin da subito chiari segni di vulnerabilità. Ha tentato più volte il suicidio, e otto eventi critici registrati nei primi due giorni riguardavano lui”, ha spiegato Scarpa. L’uomo, che adesso è tornato in Italia, era stato sottoposto a una valutazione di vulnerabilità nel novembre del 2024.
Le ispezioni parlamentari hanno criticato i ritardi e l’inadeguatezza dei controlli di vulnerabilità delle persone migranti trasferite in Albania, esprimendo il timore che molti fossero stati valutati a novembre o dicembre dell’anno precedente, ben prima del trasferimento avvenuto ad aprile 2025. Ciò significa che queste persone sono rimaste tra i quattro e i cinque mesi senza nessuna rivalutazione, portando quindi alla luce fallimenti istituzionali nei processi di screening medici e psicologici.
Il registro degli eventi critici indica di per sé una frequenza preoccupante delle emergenze, nonché gravi episodi di crisi psicologiche fra le persone migranti trattenute. Tuttavia, gli esperti legali che hanno ispezionato i centri sottolineano incongruenze e falle nella documentazione degli eventi critici, sollevando dubbi sul possibile insabbiamento di casi di maltrattamenti all’interno delle strutture. “Nel registro era riportato il caso di un uomo che era stato morso ed era stato poi trasferito all’ospedale di Lezha. Ma non c’era alcuna indicazione della persona responsabile del gesto, né se fosse un membro dell’amministrazione, delle forze dell’ordine o un’altra persona trattenuta nel centro”, ha detto Martina Stefanile, un’avvocata esperta in diritto dell’immigrazione e ricercatrice dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI).
Da numerose interviste a persone migranti sono emersi livelli preoccupanti di gravi disturbi psicologici: persone con chiari segni di disorientamento, eloquio rallentato e pensiero disorganizzato. “Abbiamo discusso con alcune persone migranti che ci hanno detto di non ricordare più che giorno fosse o da quanto tempo fossero rinchiuse”, ha spiegato Strolenberg. “Abbiamo parlato con un migrante marocchino nel pomeriggio. Sembrava assonnato: era evidente che era sotto l’effetto di farmaci pesanti. Ci ha mostrato le varie pillole che prendeva per calmarsi”. Diverse persone intervistate hanno riferito di aver aumentato l’uso di farmaci psicotropi, soprattutto dopo il trasferimento nel CPR di Gjadër.
Le persone migranti ricevono un trattamento di livello sensibilmente inferiore rispetto agli standard garantiti dal sistema italiano, e persino al di sotto della soglia minima richiesta dall’attuale direttiva europea sui rimpatri
Come riportato dall’ASGI, il trattenimento in centri delocalizzati all’estero, per il semplice fatto di essere svolto al di fuori del territorio italiano, implica condizioni materiali più scadenti rispetto a quelle dei centri situati in Italia, in modo particolare per quanto riguarda il diritto alla salute. In via teorica, le persone migranti hanno diritto a un accesso tempestivo e adeguato alle cure mediche essenziali. Il diritto alla salute per i migranti trattenuti nei centri albanesi è sancito dal protocollo fra Italia e Albania, che afferma: “Nell’ambito delle strutture di cui al paragrafo 1 la Parte italiana istituisce strutture sanitarie al fine di garantire i servizi sanitari necessari. […] In caso di esigenze sanitarie alle quali le autorità italiane non possono fare fronte nell’ambito delle strutture di cui al paragrafo 1, le autorità albanesi collaborano con le autorità italiane responsabili delle medesime strutture per assicurare le cure mediche indispensabili e indifferibili ai migranti ivi trattenuti.”
Stante queste disposizioni, è chiaro che le persone migranti trattenute in Albania non possono accedere al servizio sanitario italiano e, in caso di assistenza medica urgente, vengono affidate al sistema sanitario albanese, il quale però non riesce a sopperire a queste mancanze, poiché continua ad avere gravi carenze strutturali e disfunzioni sistemiche. Di conseguenza, le persone migranti ricevono un trattamento di livello sensibilmente inferiore rispetto agli standard garantiti dal sistema italiano, e persino al di sotto della soglia minima richiesta dall’attuale direttiva europea sui rimpatri.
Inoltre, i centri si trovano nei pressi del villaggio rurale di Gjadër, in una posizione isolata e senza ospedali né strutture sanitarie nelle vicinanze. Nel caso in cui le persone migranti abbiano bisogno urgente di cure mediche specialistiche, l’accesso ai servizi sanitari non è garantito in modo efficace, e questo solleva seri dubbi sull’effettiva tutela del loro diritto alla salute.
Parallelamente alla riconversione, da parte dell’Italia, di queste strutture in centri per il rimpatrio, la Commissione europea ha proposto a marzo 2025 un nuovo Regolamento sui rimpatri, che comprende la creazione di hub per il rimpatrio in paesi terzi dove potrebbero essere trasferite persone destinatarie di un ordine di espulsione. Nonostante le differenti modalità operative, i due modelli condividono la stessa strategia: l’esternalizzazione dei centri di permanenza in zone legali grigie . Nei mesi successivi all’introduzione della proposta, il modello italo-albanese è stato più volte citato come esempio per questi nuovi hub. A luglio, durante una riunione dei ministri degli interni dell’UE a Copenaghen, un alto funzionario greco ha indicato i centri albanesi gestiti dall’Italia come “luoghi che potrebbero ospitare gli hub per il rimpatrio”. Con i negoziati in corso a Bruxelles sull’attuale Direttiva sui rimpatri, il modello italiano sta gettando le basi per un nuovo Regolamento in materia di espulsioni?
Trattenimento extraterritoriale e direttiva sui rimpatri
Le procedure per il trattenimento extraterritoriale e il rimpatrio messe in atto in base all’accordo fra Italia e Albania hanno fatto scattare l’allarme circa la loro conformità o meno alla legislazione europea, in particolare con la Direttiva 2008/115/EC (Direttiva sui rimpatri). Il 9 maggio 2025, cinque cittadini egiziani trattenuti nel CPR di Gjadër sono stati espulsi direttamente dal territorio albanese dopo essere stati trasferiti all’aeroporto internazionale di Tirana, dove ha fatto tappa per imbarcarli un volo charter da Roma al Cairo. Secondo un rapporto di Altreconomia, è stato il primo caso noto di espulsione condotta dall’Italia a partire dal territorio albanese.
Il Ministero dell’Interno italiano ha pubblicato un bando pubblico per il noleggio di un volo charter verso l’Egitto il 28 aprile, anche se all’epoca nessun cittadino egiziano era stato trasferito o trattenuto nel CPR di Gjadër. Secondo le cifre ottenute da Altreconomia, il gruppo di egiziani è stato trasferito in Albania solo a maggio, suggerendo che il trasferimento sia stato compiuto esclusivamente per facilitare le espulsioni. La sola tappa del volo, avvenuta in segreto, pare sia costata 31.779 euro, circa 6.300 euro per migrante.
Secondo l’attuale Direttiva sui rimpatri, le persone migranti destinatarie di una decisione di rimpatrio emessa dalle autorità italiane dovrebbero essere rimpatriate dal territorio italiano, non da un paese terzo. I cinque migranti sono stati scortati lungo una strada monitorata dalla polizia albanese, al di fuori della giurisdizione delle autorità italiane. Secondo l’accordo Italia-Albania, la strada non ricadeva sotto la giurisdizione italiana, il che significa che ogni eventuale incidente sarebbe stato gestito secondo la legge albanese. Questa modalità operativa toglie all’Italia la possibilità di assicurare che le espulsioni seguano gli standard giuridici europei, soprattutto quelli - contenuti nella Direttiva sui rimpatri - riguardanti le espulsioni collettive e il respingimento.
In risposta a questi dubbi giuridici, alcune fonti del Ministero dell’Interno italiano hanno citato una serie di accordi bilaterali attuativi firmati dopo il Protocollo originario, che fornirebbero i fondamenti giuridici per tali operazioni. Pare che questi accordi, che regolano le procedure per i rimpatri, comprendano la possibilità di effettuare espulsioni direttamente dall’Albania a seguito di una notifica formale alle autorità albanesi da parte di quelle italiane. Tuttavia, l’aeroporto internazionale di Tirana resta fuori della giurisdizione italiana, evidenziando la paradossale finzione di trattare un territorio extra-UE alla stregua di un suo stato membro. A queste condizioni, diventa impossibile fare una valutazione aggiornata e individualizzata del rischio di respingimento, sia durante il trasferimento che nel paese di destinazione delle persone migranti espulse.
Le richieste di Freedom of Information (FOIA) sul numero di persone migranti rimpatriate dal CPR di Gjadër tramite l’aeroporto internazionale di Tirana, inoltrate alla polizia di frontiera e al Ministero dell’Interno albanese, non hanno ancora ricevuto risposta al momento della pubblicazione di questo articolo. “Può contattare la nostra controparte italiana se desidera avere più informazioni”, ha risposto via email un rappresentate della polizia albanese.
Questi trasferimenti aerei potrebbero rappresentare una violazione dell’Articolo 9(1) della Direttiva sui rimpatri, in base alla quale le operazioni di rimpatrio devono essere sospese se vi è rischio di respingimento o altre gravi violazioni dei diritti umani. La mancanza di un controllo giurisdizionale e una effettiva supervisione pone seri dubbi su trasparenza, responsabilità giuridica e rispetto dei diritti fondamentali nel contesto di un controllo esternalizzato delle frontiere dell’UE.
Al contempo, il governo albanese ha sottoposto richieste di accordo di riammissione all’Egitto e ad altri dodici paesi: Azerbaijan, Algeria, Kazakistan, Armenia, Georgia, Bangladesh, Tunisia, India, Pakistan, Marocco, Iraq e Afghanistan. Secondo la corrispondenza via email con il Ministero dell’Interno albanese, i negoziati non sono ancora partiti. “Gli accordi di riammissione rimangono una priorità per il Ministero dell’Interno”, ha commentato una fonte interna al ministero in risposta a FOIA. “I nostri rappresentanti hanno sollevato il problema in diverse riunioni di alto livello con la Commissione europea, richiedendo l’uso di canali diplomatici per avviare i negoziati. Stiamo ancora aspettando una risposta.”
Questa spinta per gli accordi bilaterali di riammissione fra l’Albania – in quanto potenziale paese ospite degli hub per il rimpatrio – e altri paesi terzi è in linea con la più ampia proposta della Commissione europea di stabilire i suddetti hub al di fuori del territorio dell’UE. La proposta prevede l’apertura di centri per il rimpatrio in paesi terzi, in cui i soggetti destinatari di decisioni definitive di rimpatrio potrebbero essere espulsi da stati membri dell’UE. Una volta che gli individui vengono trasferiti negli hub si interrompono, in teoria, gli obblighi giuridici dello stato membro. In base a questa proposta, il paese terzo che ospita gli hub per il rimpatrio potrebbe facilitare l’espulsione delle persone migranti verso il paese di origine o consentire loro di rimanere..
In questo contesto extraterritoriale diventa strutturalmente impossibile garantire o monitorare in modo indipendente l’effettiva implementazione delle tutele obbligatorie sancite dalla legislazione europea
Sebbene il trasferimento di persone migranti da un CPR italiano a uno situato in Albania sia trattato, a livello formale, come un trasferimento interno di routine – piuttosto che un’operazione di rimpatrio – questa finzione giuridica mette in ombra la distinzione tra una struttura situata in uno stato membro e una costruita in un paese terzo, su cui le autorità italiane non hanno piena o diretta sovranità. In questo contesto extraterritoriale diventa strutturalmente impossibile garantire o monitorare in modo indipendente l’effettiva implementazione delle tutele obbligatorie sancite dalla legislazione europea, comprese quelle sulle condizioni di trattenimento, sul controllo giuridico e sull’accesso ai ricorsi.
Il 20 giugno 2025 i tribunali italiani hanno inviato un ulteriore rinvio pregiudiziale alla CGUE, sollevando dubbi sulla compatibilità dell’accordo fra Italia e Albania con la Direttiva sui rimpatri (Direttiva 2008/115/EC), in aggiunta ai precedenti ricorsi legati alla Direttiva sulle procedure di asilo (Direttiva 2013/32/UE). Come riconosciuto dalla Corte di cassazione italiana, il trattamento giuridico di porzioni di territorio albanese – dove si svolgono le procedure per il rimpatrio – come equivalenti, a livello funzionale, al territorio italiano non implica che queste zone siano considerate parte integrante dello stato italiano. Questa distinzione evidenzia i limiti giuridici insiti nel condurre operazioni sul territorio di un paese terzo, con ripercussioni sull’implementazione delle tutele legali europee e italiane. Resta da vedere quale sarà il risultato dei processi in corso.
L’esternalizzazione delle frontiere, già da tempo un meccanismo chiave grazie al quale l’UE cerca di gestire l’immigrazione al di là della propria giurisdizione territoriale, è diventata gradualmente anche una strategia attuata tramite una maggiore cooperazione con i cosiddetti “paesi terzi”. Ciò è evidente, per esempio, nei nuovi accordi sull’immigrazione conclusi con paesi vicini all’UE nei Balcani occidentali.
Tali pratiche hanno dato origine a una nuova forma di diplomazia migratoria. Come sostiene Piro Rexhepi, gli stati balcanici occidentali lungo la frontiera dell’UE hanno fatto leva sul loro ruolo di guardiani – selezionando ed escludendo persone “indesiderabili” per conto dell’Europa – in cambio di risorse economiche e dell’accelerazione dei colloqui per l’ingresso nell’UE. Riguardo al controverso accordo firmato con l’Albania, la presidente del Consiglio italiano Meloni ha pubblicamente appoggiato l’ingresso dell’Albania nell’UE in cambio della cooperazione in materia migratoria del paese affacciato sull’altra sponda dell’Adriatico.
Nove mesi dopo l’avvio del “modello Albania”, il bilancio che ne emerge è preoccupante per via dei centri trasformati in zone grigie e dei migranti rinchiusi in colonie penali extraterritoriali. Alla luce di violazioni documentate e abusi sistematici, bloccare questo modello di esternazionalizzazione in tutte le sue forme diventa un imperativo politico e giuridico urgente.
Il contenuto del presente articolo è esclusiva responsabilità dell’autrice e non rispecchia necessariamente il punto di vista della Fondazione.
[1] Nel 2024 l'Italia ha adottato uno degli elenchi più lunghi di paesi di origine sicuri. La designazione di tale elenco è stata delegata al Governo tramite un decreto interministeriale, senza trasparenza riguardo all'analisi delle fonti o della documentazione utilizzata e senza il coinvolgimento di soggetti indipendenti. Per ulteriori approfondimenti, consultare su questa fonte: https://eulawanalysis.blogspot.com/2025/08/alace-and-canpelli-court-of-justice.html?m=1&fbclid=IwY2xjawML9xRleHRuA2FlbQIxMQBicmlkETF2eG1QWmtLZDNPRzVRTng2AR7QuJK7_iVQFbrCLclzgHn6lL7D5oN9TOgG7lkB0RR1liFSBF9UCTWyf8a4nQ_aem_kQnj_Eut4g6dwEDGaD0e4A
[2] Introdotto nel 2007, il TIMS svolge un ruolo centrale nella gestione dei dati relativi alla circolazione di persone e merci attraverso i confini dell'Albania. Sviluppato per migliorare il controllo delle frontiere e la gestione delle migrazioni, è utilizzato da varie forze dell'ordine albanesi, tra cui la polizia di frontiera e migrazione. Lo sviluppo e la manutenzione del TIMS sono stati in gran parte finanziati e sostenuti dal governo degli Stati Uniti attraverso il programma Export Control and Related Border Security (EXBS).
[3] In linea di principio, le valutazioni di vulnerabilità sono una garanzia giuridica e procedurale volta a identificare le persone non idonee alla detenzione a causa di specifiche vulnerabilità fisiche o psicologiche e rischi di danno. Secondo la legge italiana, tali valutazioni devono essere effettuate prima della detenzione e riviste periodicamente, di norma ogni tre mesi. Per ulteriori informazioni sul meccanismo, consultare il link: https://www.vulner.eu/78645/VULNER_WP4_Report1.pdf
[4] Nel marzo 2025, la Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento che istituisce un sistema comune per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'Unione, che abrogherebbe la direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (l'attuale direttiva sul rimpatrio), la direttiva 2001/40/CE del Consiglio e la decisione 2004/191/CE del Consiglio. Maggiori informazioni qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52025PC0101
[5] Rexhepi, Piro. White Enclosures: Racial Capitalism and Coloniality along the Balkan Route. Duke Press, 2023
L'articolo originale è stato pubblicato qui: gr.boell.org