Tutti guardano a destra

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L‘Italia politica si è spostata a destra. Lo si era visto già con le politiche di fine settembre 2022 e adesso le elezioni regionali tenutesi nel Lazio e in Lombardia il 12 e 13 febbraio lo confermano rendendolo ancora più palese.

Regionale Regierungen 2015-2022 (YouTrend - Sky)

Elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia: la vittoria di chi non ha votato

Fino a non troppo tempo fa, “destra” – destra e basta, non “centro destra” – era praticamente una non-parola. Adesso, il termine è stato completamente riabilitato e anzi, gli stessi esponenti di questo schieramento politico lo utilizzano, con orgoglio e convinzione, per definire la propria posizione. Anche nel linguaggio dei media i termini “destra” e “sinistra” si vanno affermando sempre di più, mentre si rinuncia all’eufemistica foglia di fico del “centrodestra” e del “centrosinistra”. Poi ci sono anche alcuni partiti minori che si definiscono “centro” o “terzo polo”.

L‘enorme successo dei partiti di destra – e soprattutto di quello della premier Giorgia Meloni, Fratelli d´Italia, il più a destra di tutti – alle ultime regionali non è stato certo inaspettato, ma è andato persino oltre sondaggi e previsioni.

Tuttavia, bisogna tener conto dell’affluenza estremamente scarsa che ha caratterizzato questa tornata elettorale, nella quale, su circa 13 milioni di aventi diritto, il 60% circa non è andato a votare, portando l’astensione, in crescita da anni, a battere un nuovo record. Il fenomeno non riguarda soltanto le elezioni comunali e regionali, generalmente ritenute meno interessanti e di minor rilievo, ma anche quelle nazionali: con un’affluenza del 63%, le elezioni politiche del settembre scorso hanno registrato la minor partecipazione mai vista nella storia del dopoguerra italiano. Ovviamente su tutti i media, da destra a sinistra, si torna a discutere delle cause di questa crescente “disaffezione per la politica”, proponendo, per contrastare questa tendenza, sempre le stesse soluzioni. Ma, come sempre, dopo qualche giorno la discussione si esaurisce e si passa ad altro, fino alla prossima débacle elettorale.

L’astensione danneggia la sinistra o ha effetti trasversali, più o meno equamente distribuiti su tutti i partiti? Per rispondere a questa domanda si può guardare alla situazione emblematica della città di Roma, non soltanto capitale del paese, ma anche capoluogo del Lazio, seconda regione, dopo la Lombardia, sia per dimensioni che per peso economico. Alle elezioni comunali di Roma dell’ottobre 2021, Roberto Gualtieri del Partito Democratico (PD) è stato eletto sindaco con il 60% dei voti, mentre l’affluenza si attestava al 48%, ben più bassa, quindi, di quella delle precedenti comunali del 2016 (57%) e delle regionali del 2018 (63%). Alle ultime regionali è andato a votare soltanto il 33% dei romani e delle romane, un’affluenza decisamente più bassa di quella registrata complessivamente nel Lazio (37%), e il risultato è stato catastrofico sia per il PD che per il Movimento 5 Stelle. Il partito del sindaco è stato battuto da Fratelli d’Italia in tutti i 16 municipi, persino in quelli del centro, da sempre governati dalla sinistra.

Un Gualtieri poco incisivo in Campidoglio, sede del governo cittadino, ha sicuramente deluso molti ex elettori e molte ex elettrici del PD. E, almeno nel caso di Roma, risulta evidente come l’astensione abbia danneggiato soprattutto il PD, ma anche il Movimento 5 Stelle, oggi da considerare più o meno parte dello schieramento progressista.

La situazione è diversa a Milano, probabilmente la più cosmopolita e liberale delle città italiane. Qui l’affluenza ha raggiunto il 42%, superando il dato romano ma attestandosi 30 punti percentuali al di sotto dell’affluenza alle precedenti regionali lombarde del 2018. A Milano il PD si è confermato primo partito con il 25% dei voti, seguito da Fratelli d’Italia (24%). Anche l’Alleanza Verdi Sinistra, con il 4,6%, vi ha ottenuto un risultato decisamente migliore che altrove. I numeri di Milano sono in netto contrasto con quelli della “periferia”, ovvero della regione nel suo complesso, dove il 55% degli elettori e delle elettrici ha riconfermato il presidente in carica Attilio Fontana (Lega), ricandidato dalla coalizione dei partiti di destra.

Tradizionalmente, in Lombardia c’è sempre stato da una parte un governo regionale di destra, un tempo con la Lega primo partito, e dall’altra una giunta comunale progressista a Milano. Adesso in Lombardia questo fenomeno della diversità dell’orientamento, da tempo presente in molte democrazie occidentali, tra elettori delle metropoli con i loro centri storici ed elettori dell’hinterland, torna ad accentuarsi.

Ma il risultato elettorale lombardo è comunque sorprendente. Dal voto esce vincitore un uomo che, nel 2020, ha avuto la responsabilità politica del numero straordinariamente alto di vittime del Covid-19 registrato nella regione. Le immagini degli ospedali, delle case di riposo e dei cimiteri hanno fatto il giro del mondo e la città di Bergamo, vicina a Milano, è diventata un simbolo. Da molto tempo il governo regionale, che è competente in materia sanitaria, tradizionalmente di destra e negli ultimi dieci anni a guida leghista, stava procedendo alla privatizzazione dell’assistenza sanitaria a svantaggio delle strutture pubbliche. Successivamente, poi, la Lega ha fatto, anche se non in modo esplicito, una politica “No Vax”. Ma, a meno di tre anni di distanza, nell’ultima campagna elettorale la stampa di destra ha sottolineato che Fontana è stato il primo ad indossare la mascherina quando ancora non era affatto obbligatoria… 

Tuttavia, la coalizione formata da Fratelli d´Italia, dalla Lega e dalla berlusconiana Forza Italia ha candidato Fontana alla presidenza della Lombardia, e questo nonostante si tratti di un esponente della Lega, partito attualmente minoritario nella coalizione nella quale, con il 16,5% dei voti, si attesta ben dietro Fratelli d´Italia avendo perso, rispetto al 2018, oltre metà del suo elettorato.

Dopo dieci anni di governo PD in coalizione con il Movimento 5-Stelle, nel Lazio la maggioranza dei voti è andata alla coalizione di destra con il suo candidato Francesco Rocca (54%), mentre l’affluenza si è fermata al 37%.  Il risultato non sarebbe cambiato neanche se i partiti di centro sinistra si fossero presentati uniti alle elezioni. Il PD si è comunque classificato secondo, superando di gran lunga il Movimento 5-Stelle.

La lezione delle elezioni

Complessivamente queste elezioni hanno dimostrato che, primo, Fratelli d’Italia, partito che affonda le sue radici nell‘ideologia neofascista, si conferma di gran lunga la prima forza politica italiana. È come se in Germania la AfD fosse primo partito al Parlamento nazionale e nella maggior parte dei parlamenti degli stati federati, o come se in Francia il Rassemblement National di Marie Le Pen esprimesse il Presidente della Repubblica e avesse la maggioranza nell’Assemblée Nationale e nei parlamenti regionali. Secondo, gli altri due partiti della destra, guidati rispettivamente da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, questa volta hanno avuto difficoltà a mantenere i risultati, già magri, delle politiche e sono condannati a fare i soci di minoranza della coalizione. Terzo, la frammentazione dell’opposizione di centrosinistra ha contribuito alla débacle ma non ne costituisce il motivo principale. In Lombardia PD e 5 Stelle si sono presentati insieme e non ce l’hanno fatta comunque. Quarto, elettori ed elettrici tendono a dare il proprio voto ai poli estremi dell’arco parlamentare, non al centro. In entrambe le regioni i fuoriusciti del PD che si definiscono “Centro”, cioè Azione di Carlo Calenda e Italia Viva dell’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, hanno ottenuto pessimi risultati. È anche alla luce di questo risultato elettorale che l’appello al PD di Elly Schlein, candidata alla segreteria del partito – “basta rincorrere il Centro” e “facciamo la sinistra” – ha ripreso vigore.


L'articolo, originariamente pubblicato in tedesco, é stato tradotto da Susanna Karasz di Voxeurop